28 Maggio 2014
Le esigenze salutistiche, il fattore tempo, i costi e la qualità delle proposte: ecco come sta cambiando il pranzo fuori casa e chi con successo propone idee nuove
E' fuga dal bar in pausa pranzo? Pare che un lavoratore su due ormai si porti il pasto in ufficio da casa. Per i costi, aumentati secondo Federconsumatori del 3% nel 2013 e del 137% dal 2001, circa 300 euro al mese che potrebbe essere ridotte del 77% preparando il pasto a casa. Per esigenze salutistiche: si vuole mangiare sano e leggero ed essere sicuri della provenienza degli ingredienti. Poi c’è il fattore tempo: molti non vogliono o non possono più dedicare un’intera ora alla pausa pranzo.
Per capire quanto questa tendenza si sia affermata negli ultimi anni basta osservare la pletora di blog, riviste e canali tv che dedicano ricette al pranzo fai-da-te, dall’Huffington Post a Cotto e Mangiato. E c’è anche un libro, autore Stefano Arturi: “Pausa pranzo. Come stare lontano dai bar e vivere felici”.
La concorrenza poi è serrata e va dall’etnico dove si mangia un pasto completo a pochi euro all’amatissimo sushi sano e leggero, da palestra ed estetista che “occupano” l’ora di sospensione dal lavoro ai lunch beat (panino, acqua e musica a palla) organizzati in garage o musei. Le università allestiscono spazi con forni a micronde e vending machine e poi ci sono le catene, i fastfood un po’ in declino ma imbattibili sul fronte prezzo (e che stanno tentando la strada della riqualificazione con prodotti del territorio) e le novità come la spagnola 100 Montaditos, che ha da poco aperto a Roma e offre 100 varietà di minipanini con prodotti spagnoli di qualità a 1 euro. La prima recensione su Tripadvisor? “Veloce, buono e conveniente: finalmente!”
È insomma il caso di iniziare a guardare la propria offerta pranzo con un occhio critico. Siamo sicuri che panini cotto e brie, salse in vaso e paste precotte lasciati a languire nella vetrinetta invoglino il cliente a entrare al bar, o non saranno forse parte del problema? Il cliente è sempre più esigente e informato, oltre che squattrinato. Come lo si riconquista? Variando l’offerta, proponendo formule nuove, puntando a una qualità costante al giusto prezzo senza perdere d’occhio i tempi del servizio, che in questo momento della giornata sono cruciali. Perché i bar affollati in pausa pranzo ci sono ancora, eccome. Ecco che vie hanno intrapreso.
Servono idee nuove
Sembra di entrare in un magico frutteto, con un albero che arriva al soffitto e un ballatoio decorato di foglie. Invece è un bar: Ottimomassimo ha aperto in centro a Milano nel 2011 con un concept chiaro: un’offerta di qualità al giusto prezzo fatta di alimenti sani, panini con prodotti Dop o di pregio come la carne Wagyu, zuppe, centrifughe e insalate originali. “L’unico modo per distinguersi è mantenere una qualità costante” spiega Alessia Fuggetta, responsabile marketing and business development. Il prezzo? «È commisurato agli ingredienti che utilizziamo [panini dai 3 ai 7 euro, zuppe sui 7 euro ndr]. Le nostre ricette sono ideate da chef stellati che hanno formato il personale, e cambiano stagionalmente: è necessario dare sempre qualcosa di nuovo, anche a livello di iniziative». E anche per le sue trovate si è fatto conoscere, l’Ottimomassimo. L’ultima si chiama “Ricette d’autore”: da questo marzo, ogni mese fino a fine anno in menu ci sarà un piatto preparato da uno chef tratto dalle pagine di un capolavoro letterario. Piatto e libro saranno presentati da un food blogger durante una serata di degustazione.
Piattino sì, ma gourmet
Avete un bar piccolo, senza cucina né cappa d’aspirazione, con pochi coperti e senza chef stellati come consulenti. Che fare? La via d’uscita c’è, e si chiama cottura sottovuoto a bassa temperatura. Ideata in Francia negli anni ’70 e portata in Italia da Gualtiero Marchesi, molto utilizzata dai grandi chef è ora utilizzata per monoporzioni da rinvenire al momento.
«È una tecnica che mantiene le proprietà organolettiche degli ingredienti, ne esalta i sapori e azzera la carica batterica», spiega Bruno Castella, titolare di Fast Gourmet, società milanese che vende 5 milioni di porzioni l’anno in tutta Europa al canale HoReCa. «Data la qualità alta il prodotto non è low-cost, vendiamo piatti dai 2,50 ai 3,50 euro da proporre a non meno di 6 euro, ma va considerata la shelf life di 60 giorni che azzera gli sprechi: si rigenera al momento solo ciò che è stato ordinato. Inoltre si può offrire un menu “da ristorante” con il solo personale di sala, in ogni momento della giornata. Sono piatti digeribili, cucinati con poco sale e condimenti e privi di conservanti».
Tra le 80 referenze, i piatti più richiesti sono il mix di verdure al vapore, le zuppe, il petto di pollo grigliato agli aromi e il brasato al vino.
«Ma il vero best seller sono le uova con bacon e salsiccia: una grande opportunità di business in zone frequentate da stranieri che troverebbero al bar la loro colazione preferita».
L’alternativa: salutare, per tutti
Il Frulez è una scommessa: un bar-bistrò-emporio con cucina sana e naturale incentrata su frutta e verdura nel centro di Bari, un’alternativa al pasto a base di carboidrati ancora poco diffusa in Sud Italia. Scommessa vinta con riconoscimenti del Gambero Rosso, tanti clienti, un nuovo locale aperto sul lungomare di Bari e l’idea di espandersi nel resto d’Italia. «Noi diamo l’opportunità di consumare a pranzo le quote di frutta e verdura consigliate dai nutrizionisti. Il nostro concept si basa oltre che sulla proposta vegetale, a chilometro zero, da agricoltura biologica o biodinamica ma senza chiusure o integralismi, anche sui processi – spiega l’amministratore unico Lorenzo Diomede -. Oggi riusciamo a servire un cliente in 3-5 minuti dall’ordinazione». Molto fresco, piatti bilanciati che nutrono senza appesantire e pensati anche per chi è allergico o intollerante, e una posizione strategica tra vie dello shopping, stazione e università: è la ricetta del successo di Frulez. I prodotti del territorio?
«Li usiamo ma non li enfatizziamo: cerchiamo di renderci credibili con la bontà della nostra cucina, la comunicazione viene dopo».Certo, i margini sono più bassi, il fresco è più difficile da trattare, dietro al menu c’è uno chef solidissimo. Ma il cliente è cambiato, e vuole una proposta diversa. E se non la trova? Be’, c’è sempre il frigo di casa.
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