18 Agosto 2016
Alfio Ghezzi è chef di Locanda Margon, locale sorto su una terrazza naturale della valle dell’Adige che guarda Trento. La Locanda è nata per volontà della famiglia Lunelli, titolare delle Cantine Ferrari, quale luogo di eccellenza e di sperimentazione per innovativi abbinamenti con le bollicine e prende il nome dalla vicina Villa Margon, splendido complesso cinquecentesco sede di rappresentanza del Ferrari. Lo chef vuole sfuggire dai cliché del tipico a tutti costi, pur valorizzando le materie prime locali d’eccellenza e lasciando grande spazio, naturalmente, al Trentodoc, sia in cucina, sia pensando all’abbinamento vino/pietanza. «La mia – spiega lo chef – è una rilettura della cucina trentina, un racconto che prende origine dai prodotti e dai produttori del territorio ma che non passa necessariamente dalla tradizione. È una cucina che interpreta il nostro tempo volutamente semplice e poco sofisticata, tanto che a volte definiamo la nostra proposta diversamente tradizionale. Nel nostro menù, per esempio, non ci sono i classici canederli, gli gnocchi di pane raffermo in brodo che sono uno dei capisaldi della cucina trentina, tuttavia non manchiamo di servire gli “strangolapreti”, altro piatdi degustazione più articolato ed è dedicato agli appassionati della cucina d’autore, e la Veranda, che ha un’impostazione più semplice, senza deroghe, tuttavia, al profilo qualitativo e di ricerca che caratterizza l’operato di Ghezzi e della sua brigata. «Facciamo cucina contemporanea – prosegue – non seguiamo le mode che attraversano la cucina to tradizionale della nostra regione a base di pane raffermo e spinaci, pur in una versione riveduta e corretta, che ne mantiene l’ispirazione ma lo trasporta in una dimensione nuova».
Nel menù della Locanda Margon convivono due anime: il Salotto Gourmet, che propone un percorso piatdi degustazione più articolato ed è dedicato agli appassionati della cucina d’autore, e la Veranda, che ha un’impostazione più semplice, senza deroghe, tuttavia, al profilo qualitativo e di ricerca che caratterizza l’operato di Ghezzi e della sua brigata. «Facciamo cucina contemporanea – prosegue – non seguiamo le mode che attraversano la cucina internazionale, anche se sappiamo capitalizzare tanti spunti che ci permettono di attualizzare i nostri piatti. Non vogliamo seguire la cucina tecnico/sperimentale spagnola in termini di tecniche, nemmeno la cucina nordeuropea e la sua filosofia di sperimentazione estrema: con la nostra esperienza, tuttavia, sappiamo filtrare tante suggestioni per riproporle, rivedute e corrette, alle nostre latitudini. Penso, ad esempio, a un lavoro sull’acidità dei piatti, una tendenza che sta lasciando strascichi anche nella nostra cucina, o al lavoro svolto sull’amaro, sull’uso dei tuberi, per esempio, o sulle influenze della cucina dell’America Latina. Senza scimmiottare nessuno, ma calando queste influenze sulla nostra realtà locale fatta di cucina di montagna, stagionale, con materie prime il più possibile locali».
PERCORSI DI ROTTURA
Pensiamo a uno dei piatti simbolo dell’offerta di Ghezzi alla Locanda Margon, ossia Riso e Bollicine, un riso mantecato con un formaggio di capra erborinato proveniente da una filiera locale e servito con un’emulsione di Ferrari Perlé Rosé: il processo creativo di questa pietanza ha riportato lo chef a un suo viaggio in Francia e al ricordo di un predessert a base di Roquefort e Champagne, ora riprodotto con ingredienti locali nel rispetto di questa politica di valorizzazione delle filiere trentine. «Siamo stati tra i primi –aggiunge Ghezzi- a valorizzare le filiere trentine, anche con un percorso di rottura con gli stilemi classici della tradizione. Olio d’oliva (Garda Trentino Dop) invece del burro e/o lardo; per la pasta abbiamo puntato su Felicetti e sulla sua filiera 100% locale. Uno dei piatti che meglio rappresenta questa rottura con la tradizione classica è Insolito Trentino, spaghetti Felicetti cotti in un liquido aromatico a base olio d’oliva e TrentoDoc poi mantecati con Trentingrana. Un trait d’union tra la tradizione della pasta mediterranea e la cucina alpina che guarda a Nord, la sintesi di questa nostra filosofia in cucina».
LOCALISMO, ANCHE NEI DESSERT
[caption id="attachment_104450" align="alignright" width="300"] Una delle creazioni di chef Ghezzi il crudo e il cotto di Fassone, melanzana arrostita e patate fritte[/caption]
Il dualismo tra cucina montanara e spinta all’innovazione per compiacere una clientela più vasta si evidenzia chiaramente nei dessert, che rifuggono una classificazione stereotipata frutto del trionfo di zucchero e di ricchezza, ma rileggono con attenzione e misurata frugalità l’arte dolciaria trentina, i suoi prodotti e gli ingredienti irrinunciabili. Lo strudel evocato nel piatto dal nome un po’ irriverente La mela pensando allo strudel, nel quale avanzano alcuni ingredienti del destrutturalismo. Oppure nella scelta degli ingredienti che, a fianco dell’ormai irrinunciabile cioccolato, mette vegetali, frutta secca, siero di latte, miele di tarassaco, spezie. «Gualtiero Marchesi - chiarisce Ghezzi - mi ha insegnato che occorre evitare uno stacco di gusto troppo pronunciato tra la portata principale di un pasto, spesso la più complessa e robusta, e il dessert, che alcuni interpretano come un trionfo di dolcezza. La nostra filosofia è di proporre dolci meno dolci, può sembrare un assurdo ma credo che meglio si accordino con il nostro menù e l’impronta complessiva del locale. Per questa stagione autunno/invernale abbiamo in menù un dessert a base di rabarbaro, nocciole e olio d’oliva, in passato un dessert a base di polenta e latte o un gelato al siero di latte e pepe rosa”.
VINO PROTAGONISTA
In un locale di questo tipo, in cui la commistione tra cibo e vino è sancita nel suo dna, il processo creativo di una nuova pietanza non può non tenere conto dell’interazione che questa avrà nel suo abbinamento. In particolare con i Trentodoc, da sempre il core business delle Cantine Ferrari. «Per questo motivo – conclude Ghezzi – quando vogliamo creare un nuovo piatto chiediamo, in un certo momento del processo di sviluppo, l’intervento dell’enologo che ci fornisce il suo punto di vista. È un processo difficile e delicato, nel quale cozzano due diverse sensibilità: l’enologo tende a preservare il vino, quindi vuole ridurre l’impatto gustativo del cibo, per esempio di certi elementi conflittuali, come le spezie, al contrario dello chef che si muove su altri binari. Naturalmente dall’unione di queste due diverse sensibilità può nascere un piatto più equilibrato, nel quale il rapporto con il vino è parte integrante del percorso di ricerca effettuato.
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