30 Agosto 2016
Gian Nicola Libardi è stato eletto barman dell’anno 2015 secondo Italia a Tavola. Un riconoscimento che premia il percorso professionale di questo barman trentino che dal suo Tatikakeya di Calceranica al Lago (Tn) incarna alla perfezione le qualità che si richiedono a chi si dedica al bere miscelato nel terzo millennio: preparazione tecnica, curiosità, sperimentazione, capacità di “leggere” i gusti del cliente e le tendenze che attraversano il mercato internazionale. Partendo da autodidatta nella realtà italiana, certo storicamente non la più evoluta in rapporto al consumo di cocktail, ma che sta rapidamente cambiando anche contando sulle qualità intrinseche dei nostri connazionali quando si parla di food & beverage.
CULTURA IN EVOLUZIONE
«Viviamo una realtà – spiega Libardi – nella quale i bartender italiani stanno facendo bene in tutto il mondo grazie alla nostra sensibilità al gusto e alla creatività che da sempre ci accompagna in tutto quello che riguarda cibo geo bevande. Inoltre, l’Italia ha una solida tradizione liquoristica, tanto che alcuni nostri prodotti storici, pensiamo al vermut, sono ingredienti fondamentali di tantissime ricette in tutto il mondo. Invece, forse per una forte cultura vinicola che ci caratterizza o per una mentalità ancora strisciante che vede il cocktail come veicolo per lo sballo, tra i clienti non si è ancora sviluppato un approccio più strutturato a questo mondo. Tuttavia, le cose stanno evolvendo rapidamente e nell’ultimo decennio il bere miscelato ha saputo conquistare una platea più vasta, più matura e più consapevole».
REINTERPRETARE LA TRADIZIONE
Una presa di coscienza collettiva che sta passando attraverso una cultura più profonda da parte degli attori del bere miscelato, dei clienti, dei barman e delle aziende del settore. «Stiamo assistendo – prosegue Libardi – a una maggiore attenzione al mondo del cocktail da parte di aziende storiche, con una forte connotazione territoriale e con prodotti tradizionali. Pensiamo alla grappa, fino a qualche stagione fa completamente assente dal panorama delle ricette per via del suo carattere preponderante; oggi con il lancio di prodotti più morbidi, invecchiati in legno, la grappa può essere trattata come il rum ed è oggetto di una scoperta da parte dei barman più sensibili alle novità, così come è avvenuto per i distillati sudamericani, cachaça e mescal, qualche anno fa. Io, da buon trentino, utilizzo la grappa nelle mie creazioni originali, credo che anche il mondo dei cocktail si debba nutrire di concetti come il localismo, prendendo spunti da suggestioni differenti ma che richiamino la cultura locale e creandosi uno stile personale che non sia frutto dell’improvvisazione del momento, ma di uno studio attento dell’ingredientistica e degli abbinamenti, anche con il cibo».
FOOD PAIRING
È una delle ultime frontiere: l’abbinamento tra cocktail e pietanze, la comune suggestione e la contaminazione di questi due mondi, sempre più convergenti, sta trascinando, anche in Italia, l’interesse per il bere miscelato. «Fino a qualche anno fa – prosegue Libardi – sembrava un’eresia, adesso siamo di fronte a un patrimonio sterminato di ingredienti che possono finire nel bicchiere. Io collaboro con un giovane chef per sviluppare cocktail adatti ad essere consumati mangiando, abbiamo creato una ricetta che prevede l’uso di briciole di cipolla bruciata (vedi box, ndr), di certo un ingrediente non convenzionale. Ma, in modo simmetrico, anche il lavoro dello chef si sta arricchendo di tecniche e abbinamenti proprie del barman, in un percorso che fa crescere entrambi”.
NO ALL’IMPROVVISAZIONE
Di certo una spinta importante al cambiamento dell’approccio al cocktail da parte dei nostri connazionali è arrivata dall’evoluzione sociale, che ha portato soprattutto le nuove geonerazioni a vivere differentamente la notte e il divertimento, il tutto mediato dalla tecnologia digitale. Così, se l’antico adagio “bere meno, bere meglio” rimane ancora di grande attualità, soprattutto per le restrizioni imposte dal codice della strada, le persone sono alla ricerca di qualcosa di speciale con cui condire la propria serata. «Il cocktail – spiega Libardi – deve essere sorprendente sotto il punto di vista visivo, dell’immagine, ma il buon barman non deve fermarsi a questo. Anzi, la piacevolezza al palato è fondamentale. Il buon barman deve saper tarare le proposte in base ai gusti presunti o esplicitati dal cliente e deve condire il tutto con una robusta dose di storytelling, descrivendo gli ingredienti, il perché della scelta e condendo il tutto con consigli sulla degustazione. Si tratta di un’operazione spesso non facile, soprattutto quando si lavora rapidamente, ma è un’operazione necessaria per fare accrescere la cultura di chi sta dall’altra parte del bancone».
Konka & Kibuddha
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