08 Ottobre 2014
Se ne è occupata prima la Repubblica e poi il Corriere della Sera. La vita notturna a Teheran sta cambiando, come si può notare dalla pagina social su Instagram del gruppo "Rich kids of Teheran" (I giovani ricchi di Teheran) che mostra ragazze in minigonna e tacchi a spillo impegnate in effusioni in discoteca davanti a superalcolici. Figli dell'élite iraniana, appartenenti a famiglie intoccabili, questi ragazzi mostrano che l’Orient Express viaggia e non si ferma. Il Middle East, con le sue star, le sue tendenze e le sue tradizioni, ammalia. Che contagiano tutto il resto del mondo, a partire dalla moda e arrivando nel centro della musica elettronica. Con la scusa della politica, parliamo di musica locale. E viceversa. Mettendo il naso grazie anche ai nostri amici dj, veri inviati all’estero
Ci si ritrova in Medio Oriente faccia a faccia con realtà impensabili, squilibri, differenze madornali, riflessioni, lontananze e vicinanze, tolleranze e anatemi. Là, in quel blocco geografico e politico dove influiscono (quasi) totalmente le religioni, si possono scoprire realtà impensabili, da uno stato come Israele in cui sembra di essere nella Florida degli anni Settanta, passando per il Libano definito decenni fa come la Svizzera del Medio Oriente, transitando dai deserti degli Emirati Arabi Uniti che si accendono sulle spiagge di una Dubai in finta recessione e arrivando a un Iraq occupato, uno Yemen vittima di rapimenti, una Giordania e una Siria in cerca di se stesse, senza contare il Kuwait, l’Arabia Saudita; e fermandosi dinnanzi ai giovani dell’Iran sempre più desiderosi di libertà. Sull'ideale tappeto volante si annovera la rivalutazione di luoghi incredibilmente vogliosi di evolversi e scoprirsi. Con la scusa della politica, parliamo di musica locale. Con la scusa della musica locale, parliamo di politica. Indagando anche di persona, andando sul posto e convocando i più stretti amici, dj in primis, per una volta veri inviati in questo angolo di mondo.
Stato matto, quello israeliano. Spaccato a metà, con una gioventù che si disinteressa di impegni militareschi godendo di una città che tutti invidiano come Tel Aviv, sede ormai naturale di tutto il movimento queer (dopo tanti gay pride...) e incrocio di culture provenienti da ogni parte del mondo. Da qui provengono le discendenze dei canadesi Chromeo, Patrick “Pee Thug” Gemayel e David “Dave 1” Macklovitch, virtuosi musicisti specializzati in musica electro hip-hop e forse unico duo araboebraico (il primo palestinese e il secondo israeliano) di successo fin dalla comparsa del genere umano. Poi ci sono gli Infected Mushroom, già Top 10 mondiale dei dj e guru della psytrance, una specie di Goa. Senza contare Offer Nissim, efebico amico di Paul Rutherford, e Guy Gerber, che oggi vive sull’asse Tel Aviv-Berlino grazie alla sua Be As One.
Salma Hayek, Mika e Shakira, Tutti libanesi, per chi non lo sapesse. Sono star. Ma tra i nuovi talenti, soprattutto tra i dj e produttore trance, si fa largo un giovane di Tripoli (da non confondere con la capitale libica...). Loay Kaddour, classe ’86, promotore della Lebanese Trancers Community, che si dà un gran daffare a spingere un genere sempre più in ascesa nel paese. Raf Marchesini è un dj italiano. La direzione artistica dello Sky Bar di Beirut (“dove mi sono trovato benissimo”) l’ha contattato e portato in Libano per delle nottate indimenticabili. Raf prima di partire era a conoscenza degli anni terribili di guerra che aveva vissuto la nazione e di alcuni attentati gravi del 2008. Ma gli organizzatori gli hanno garantito tutta la possibile sicurezza per il suo lavoro da svolgere. Lo hanno scoperto grazie ad alcune sue produzioni e remix poi diventati successi nel posto. “Fondamentalmente, in Libano, va un sound melodico ed energico. Dai successi R&B made in Usa a Sinclar, Guetta fino ad arrivare alla trance di Tiesto. I giovani sono vestiti all’ultima moda e griffatissimi, hanno tanta voglia di divertirsi”. Grande festa allo Sky Bar. “Posso tranquillamente dire che è il club più suggestivo che abbia mai visto: completamente a cielo aperto, con lanciafiamme posti tutt'intorno al perimetro del locale che sputano fuoco per oltre un metro a tempo di musica. E una vista mozzafiato sulla baia di Beirut. Le oltre duemila persone che affollano puntualmente il locale sono poi una cornice grandiosa”. E la città? “Entrando in città quando si arriva dall'aeroporto si vedono ai lati delle strade alcuni carri armati e auto blindate dell'esercito. I soldati armati all'ingresso della città sono parecchi. Poi, entrando, soprattutto nelle zone periferiche dove la ricostruzione non c'è stata, si vedono palazzi residenziali e hotel crivellati di colpi e letteralmente squarciati”. Il centro della città assomiglia a quello di una capitale europea, “con i suoi fastosi negozi di alta moda, ma un tocco estetico mediorientale che lo rende estremamente affascinante”.
Ballare qui è proibito. In qualsiasi luogo. Danzare è immorale e Allah piange. Vi sono autorizzazioni solo per corpi di ballo che eseguono balli tradizionali accettati dal regime. Le cubiste in Iran non le troverete mai. Ai concerti devi stare seduto e applaudire a tempo come da piccini. Ai lati del pubblico trovano spazio i controllori. La musica e i film occidentali sono proibiti nonostante il mercato nero dilaghi. Allora spazio ai rave improvvisati nel deserto. Un’insolita storia è indirettamente accaduta al duo deep house italiano degli Novanta Harley & Muscle. “Tempo fa ci scrisse un ventenne iraniano attraverso MySpace”, ha spiegato la coppia prima di separarsi definitivamente. “Lo ha fatto per complimentarsi con noi per le raccolte che produciamo e dicendoci che le aveva trovate a Dubai in un Virgin Megastore durante un viaggio di affari con suo padre. Non potendo ascoltare i nostri cd in casa, e comunque non potendo diffonderli in generale, durante il weekend, da giovedì a venerdì, con i suoi amici si è inventato un trucco”. Quale? “Ha piazzato delle tende in mezzo al deserto dell’Iran e dato vita a una serie di feste dove tutti hanno ballato con i nostri mixati”.
Arya Sharam Tayebi (Theeran, 12 agosto 1970) e Ali Shirazinia detto Dubfire (Mashad, 19 aprile 1971) sono i Deep Dish. La loro connazionale Anousheh Khalili va a ruota. Sono iraniani che vivono nel mondo, ormai. “Dopo quello che è accaduto a New York, l’11 settembre del 2001, i controlli sui documenti sono diventati pignoli, soprattutto per chi è in possesso di quelli di paesi musulmani. Noi rispettiamo i valori, la famiglia, l'unione. Abbiamo approfittato del remix per i Depeche Mode di ‘Free Love’ per ripetere all’infinito appunto la parola ‘amore libero’, free love, un lavoro che abbiamo ultimato proprio durante l'attacco alle Torri Gemelle. Quel giorno cancellammo due serate in Messico”, dice Dubfire tutto d'un fiato.
DJ Shadow suona un mix di funky, bolly-tech, bhangra break e hip-house. È nato a Dubai, incide per l’etichetta discografica Envy Entertainment. Resident al Desi Flava, ma spesso lo si trova alla onenight Elegante presso il Royal Ascot Hotel e il sabato al Gold del Monarch Hotel, ufficialmente ha remixato brani di Jay Sean, H-Dhami, Sona Family, Rishi Rich, Stereo Nation, Karen David e tanti altri. Insomma, un’istituzione negli Emirati Arabi Uniti. Joe T. Vannelli ha suonato in questa realtà turistica in piena espansione. “Negli Emirati Arabi si investe sempre tanto, anche perché il flusso di stranieri non manca davvero mai. Russi, americani, britannici. Per il resto, attenzione a non baciarsi in pubblico: si rischia l’arresto”, avverte Vannelli.
Locali simili, ma di sapore più autentico, anche attorno al Teatro Romano, in pieno centro di Amman, dove si possono trovare però anche discoteche. Il giovedì sera, in particolare, la piazza degli Hashemiti è piena di gente e una passeggiata è d’obbligo. Tra i locali più cool si ritaglia un posto di primo piano il Caffè Wild Jordan, con una splendida vista sulla città vecchia. L’Amigo Pub è un locale alla moda decorato con stile, ideale per sorseggiare drinks, mangiare bene ed ascoltare musica rock e funky, con l’opzione di giocare a biliardo o a svariati giochi da tavolo.
Per chi volesse approfondire la tematica, ecco “Rock the Casbah!” di Mark Levine (256 pagine; 19 euro; Isbn Edizioni; traduzione di Alberto Orlando), libro che indaga sulla rivoluzione sotterranea che sta avvenendo in Medio Oriente. Dal Marocco all’Egitto, dalla Palestina all’Iran, dal Pakistan al Libano, un’inchiesta che, come un romanzo rock, si addentra nella musica del Diavolo. Allora si scoprono diciottenni marocchini che adorano i Black Sabbath, rapper della striscia di Gaza, libanesi che citano Bob Marley: sono i giovani protagonisti di un testo che tratta di musica considerata immorale, se non addirittura illegale, dalla società islamica. L’inchiesta di Levine, ricca di interviste a musicisti e fan, raccoglie i frutti e le contraddizioni dell’incontro tra influenze occidentali e cultura mediorientale. Chitarrista, studioso dell’islam e professore di Storia mediorientale alla University of California, Levine ha girato il mondo con artisti del calibro di Mick Jagger, Chuck D, Michael Franti e Dr. John.
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A cura di Matteo Cioffi
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