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14 Novembre 2017Che si tratti di condire un piatto di spaghetti o guarnire una fumante margherita, il mondo della ristorazione attenta alla qualità ha da tempo eletto a principe rosso il pomodoro campano. Al decano dell’industria conserviera, il San Marzano, si può preferire il più elitario pomodorino del piennolo del Vesuvio. Scopriamo le caratteristiche di queste due eccellenze dell’industria conserviera campana.
IL SAN MARZANO
Coltivato nella valle del Sarno, una decina di chilometri a sud est del Vesuvio, il pomodoro San Marzano è una delle varietà di pomodori più conosciuta in Italia. Le origini di questo prodotto non sono state accertate: alcuni lo fanno risalire a una variante proveniente dal Sud America alla fine del Settecento, dono del Viceré del Perù; altri invece a una trasformazione dal pomodoro Lampadina, una delle specie autoctone. Quali che siano le origini, a inizio del Novecento Francesco Cirio scelse proprio questa varietà per dare avvio alla florida industria conserviera dei pelati. Il motivo è presto detto: a differenza di altre specie di pomodoro, il San Marzano era l’unico a mantenersi pressoché intatto dopo i processi di lavorazione che precedevano l’inscatolamento. La storia di questo prodotto è un susseguirsi di fasti e disastri: dopo il boom del dopoguerra, negli anni Ottanta il San Marzano subì il flagello di un virus e l’ecotipo originario si estinse. Dal patrimonio genetico del San Marzano sono però stati ricavati due nuovi ecotipi: la variante Kiros e quella San Marzano 2, per le quali è poi arrivato, nel 1996, il riconoscimento del marchio DOP con la conseguente nascita del relativo Consorzio di tutela al quale fanno riferimento oggi 14 cooperative di produttori e 19 aziende di trasformazione.
IL PRODOTTO
Secondo il disciplinare, che è stato modificato nel 2010, le caratteristiche del Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino sono: colore rosso uniforme; consistenza compatta e carnosa; forma allungata cilindrica tendente al piramidale con lunghezza da 60 a 80 mm; rapporto tra gli assi non inferiore a 2,2; pH non superiore a 4,50. Le zone di coltivazione, oltre al Comune di San Marzano, include una quarantina di comuni delle province di Napoli, Salerno e Avellino. La lavorazione richiede particolare cura e tempi lunghi: il disciplinare prevede infatti che la raccolta dei frutti sia eseguita a mano in estate, con una resa massima pari a 80 tonnellate per ettaro. Il pomodoro viene sottoposto a un accurato lavaggio, quindi a una selezione. Successivamente vengono calati in acqua bollente per poche decine di secondi affinché la buccia si ammorbidisca e possa quindi, dopo un’incisione, essere eliminata. Anche il confezionamento del prodotto avviene prevalentemente a mano.
ATTENTI ALLE IMITAZIONI!
Il pomodoro San Marzano è uno dei prodotti alimentari italiani più “imitati” al mondo, con grave pregiudizio per l’economia del territorio (il prodotto infatti trova storicamente uno sbocco importante sul mercato estero). Se ne produce in Asia, negli Stati Uniti, dove la parola sanmarzano addirittura sta diventando sinonimo di tomato, ma anche nella stessa Europa. Ha destato scalpore, recentemente, il caso di un’azienda belga che coltiva e commercializza San Marzano. Legittimamente, peraltro, secondo il Commissario Europeo all’agricoltura Phil Hogan. Perché il marchio DOP tutela il prodotto lavorato e non l’ecotipo, che può essere liberamente coltivato e trasformato in tutto il mondo. E anche i pelati San Marzano lavorati fuori dal territorio campano sarebbero legittimi purché non facciano riferimento alla zona di provenienza dei prodotti tutelati dal marchio DOP, cioè l’agro Sarnese-Nocerino. In altre parole, occhio al bollino: solo quello originale ha il marchio DOP.
IL POMODORINO DEL PIENNOLO DEL VESUVIO
Altro prodotto della terra campana che, dal 2013, può fregiarsi del marchio DOP è il “Pomodorino del Piennolo del Vesuvio”. Già nel 2001 questo gustosissimo frutto rosso era stato preso sotto tutela da Slow Food Italia che aveva creato un apposito “presidio” per salvaguardare la biodiversità varietale di questo prodotto del territorio vesuviano e preservare una centenaria tecnica di conservazione del prodotto. Con il nome di Pomodorino del Piennolo del Vesuvio sono raggruppati gli ecotipi di pomodorini della specie Lycopersicon esculentum Mill, le cui varietà più note sono i pomodorini “Fiaschella”, “Lampadina”, “Patanara”, “Principe Borghese” e “Re Umberto”, tutti coltivati in meno di venti comuni alle pendici del Vesuvio. Come nel caso del San Marzano, le piante sono ad accrescimento indeterminato. Il frutto è invece di forma ovale con apice appuntito e buccia spessa di color vermiglio. Possono essere consumati freschi (entro quattro giorni dalla raccolta) oppure conservati – appunto – “al piennolo”: i grappoli di pomodorini, una volta raccolti, possono essere messi su un filo di fibra vegetale legato a cerchio, così da comporre un unico grande grappolo, detto “piennolo”, del peso, a termine conservazione, compreso fra 1 kg e 5 kg. I piennoli sono conservati appesi, in luogo asciutto e ventilato. Le peculiarità del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio sono la elevata consistenza della buccia, la forza di attaccatura al peduncolo, l’alta concentrazione di zuccheri, acidi e altri solidi solubili che lo rendono un prodotto adatto alla conservazione senza che nessuna delle sue qualità organolettiche subisca alterazioni. Dal punto di vista del sapore, la salsa ottenuta dal pomodorino del piennolo ha una forte nota acidula, un retrogusto amarognolo che deriva dalla buccia spessa e una consistenza più densa rispetto alla salsa di San Marzano.
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A cura di Matteo Cioffi
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