28 Dicembre 2017
Sembrerebbe quasi di essere tornati indietro di circa un secolo, precisamente nel 1931, quando Tommaso Marinetti, nel pieno del Futurismo, lanciò il Manifesto della Cucina Futurista. Basta ricette banali, basta piatti della tradizione, basta pasta e via libera a una rivisitazione d’ingredienti e ricette, magari attraverso un’analisi “più attenta” e una scoperta delle singole componenti. Tutto ciò, ovviamente traslato in un nuovo millennio, si può ritrovare alla base di quello che, oggi, viene definito Food Pairing, ossia la disciplina che confronta e studia la catena molecolare degli alimenti anche in relazione ai cocktail. Ebbene sì, una sorta d’intreccio tra barman e chef, un sodalizio di scambio reciproco di conoscenze e accostamenti azzardati che possono portare in tavola una specie di scomposizione e assemblaggio di note olfattive e gustative. Per alcuni questa forma di studio rappresenta ancora un limite invalicabile, ma nulla risulta strano se si valuta da vicino (e fuori dagli schemi del Food Pairing) come molti ingredienti, tra loro agli antipodi, una volta analizzati, possano trovare un lieto accordo.
E perché allora, seguendo questa “musicalità” di gusto – e anche qui Marinetti aveva già proposto una cucina abbinata alla musica – gli alimenti della tavola non diventano anche quelli del bicchiere? Il mondo della mixology (già di suo) è una costante evoluzione di sperimentazioni, prove, assemblaggi e proposte: il consumatore moderno (intenditore o meno), quando si siede a un banco, cerca e si aspetta un qualcosa che possa lasciare il segno, un abbinamento originale fatto d’incroci sorprendenti…va bene il cocktail affiancato alla cucina. Perché allora non andare oltre e ricreare una cucina adatta per quel genere di drink? Ecco la base del Food Pairing, un connubio di gradimento che può seguire non solo la similitudine dei sapori, ma anche la contrapposizione e la stagionalità, l’importante è che susciti emozioni, stupore e voglia di provare. “Il nostro obiettivo è quello di creare un’esperienza unica, sempre con materie prime di qualità” - dichiara Gianfranco Morgante, proprietario del Morgante, il locale nel vicolo dei Lavandai, sui Navigli milanesi. - Ogni sera proponiamo cocktail che rubano ingredienti alla cucina e piatti che ‘estorcono’ ingredienti ai cocktail…Chef e Barman stanno gomito a gomito”.
Come si approcciano i clienti al Food Pairing rispetto all’abbinamento tradizionale con vino e cibo?
Chi entra nel locale ha voglia di fare una conoscenza diversa. L’importante è sapere dosare i quantitativi, giuste proporzioni e giusti accostamenti. Gli ospiti spesso sono preoccupati dall’idea di “bere troppo”, soprattutto se gli si propongono più cocktails durante un menù. In realtà, se studiato e ben proporzionato anche in base ai piatti, il quantitativo alcolico ingerito è all’incirca quello di mezza bottiglia di vino. Il confronto tra la cucina e il bancone è inevitabile. Le idee si confrontano, si assaggia e si trovano soluzioni idonee anche in base alla stagionalità degli ingredienti stessi che si scelgono. Anche da questo punto di vista c’è piena sintonia.
Qual è l’ingrediente più complesso nell’abbinamento? Cosa consigli a chi si approccia per la prima volta al Food Pairing in veste di Chef?
Penso che gli ingredienti più difficili da abbinare siano i carboidrati: la sensazione dolce dell’amido prevale sempre, nonostante il condimento faccia la sua parte. Inevitabilmente, però, chi ama la pasta ha voglia di sentirne il sapore, la consistenza, il retrogusto bilanciato. Abbinare un cocktail che mantenga questo equilibrio di preferenza personale e voglia di scoperta è più complesso, ma non impossibile. Per chi non conosce il Food Pairing, invece, consiglio di iniziare dai sapori semplici, magari più facili da legare assieme. Per esempio nel nuovo menù abbiamo proposto un carpaccio scottato di salmone con agrumi e fiori che leghiamo a un Gin, accoppiata perfetta perché l’alcol è capace di ripulire la bocca senza alterare il gusto dell’insieme. Nel Food Pairing la conoscenza della merceologia e delle procedure da usare deve essere altissima. Questo permette di trovare contemporaneamente sinergia tra chef e barman attraverso un confronto diretto, valutando anche un altro fattore fondamentale: il cocktail ha un processo differente di evoluzione. Ossia, se un vino affiancato a un piatto si presta per esaltare profumi e sapori, il drink, rispetto a quando esce dalle mani del barman, si trasforma. Per questo è necessario avere ricette che si evolvano nella stessa maniera del cocktail. In pratica piatto e bicchiere devono subire un processo uguale o simile in gusto, consistenza e sapori. “Alla fine ciò che scatta è il richiamo della materia prima o nel drink o nel piatto - dichiara Lorenzo Allegrini, barman del Morgante - Se decido di usare qualcosa con il melone o lo speck, giusto per fare qualche esempio, si proporrà un piatto che offra gli stessi ingredienti. In altro modo si può creare un connubio che leghi i sapori in abbinamento: se lo chef utilizza gli asparagi, io mi sentirò libero di usare la vaniglia perché in piena sintonia di espressività.
Ti piace di più lavorare per similitudine o contrasto?
Di certo preferisco il contrasto… mi piace proprio come concetto di sfida con me stesso e con il cliente. L’abilità sta nel creare anche una proposta alternativa e differenziata. Mi piace fare ricerca, ispezionare e provare. Una cosa fondamentale che seguo è la stagionalità… in più penso che le stagioni siano sei e non quattro, questo perché alcuni ingredienti (soprattutto frutta e verdura) hanno un periodo specifico e limitato, si trovano solo per 1 mese all’anno perché appartengono a una determinata specie o tipologia.
Quali ingredienti per il cocktail del futuro?
Penso che tra i protagonisti ci sarà l’agave, magari da affiancare a piatti con crostacei e ostriche. Penso che possa essere riproposto anche lo Spritz, sempre con ricette particolari che escano dalla tradizione già conosciuta, meglio se con salse allo yogurt o basi fresche. L’importante, e questo è un discorso in generale, è che il cocktail non sia arrendevole al piatto e viceversa. La “cooperazione” tra le parti è alla base di tutto ciò che rientra sotto il nome di Food Pairing.
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