28 Novembre 2018
Reinventare la tradizione, quel patrimonio enogastronomico e umano tanto prezioso, di cui noi italiani siamo ricchissimi, ma che rischia a volte di diventare un peso se non si confronta con il presente (e si apre al futuro). È una lezione che dovremmo ricordare e che viene alla mente visitando i vicoli e i tanti quartieri dall’anima diversa di Valencia. Terza città della Spagna, meno nota di Madrid e Barcellona e più piccola, più vera e laboratorio di idee e pratiche. Anche nell’accoglienza. Qui è nato il piatto più internazionale della cucina spagnola, la paella di cui si preserva orgogliosamente la ricetta autentica, un po’ come a Napoli la pizza. Ma la città ospita anche una scena gastronomica vivace, promossa tramite festival e iniziative continue. Un’altra idea da copiare. Ma procediamo con ordine.
UNA NUOVA ATMOSFERA
“Negli anni 90 tenevo da parte i soldi per andare a Londra a mangiare” dice Marc Insanally, expat e vulcanico co-fondatore del Cafè de Las Horas, bar dall’arredo barocco e bizzaro dove ci si ferma a chiacchierare e sorseggiare Agua de Valencia, il cocktail cittadino a base di succo d’arancia e Cava (tipico vino spumante spagnolo), a un passo dalla piazza della Cattedrale. “Qui esisteva solo la cucina spagnola tradizionale: fantastica, ma quando è l’unica opzione rischia di diventare noiosa. Ora c’è una varietà culinaria incredibile, dallo street food thai al ristorante indiano. E trovo tutti gli ingredienti, lemongrass, foglie di lime, dolci cinesi al fagiolo rosso, qualsiasi cosa mi serva per cucinare. Ma le cose sono cambiate in tanti altri modi: quando sono arrivato tutti mi guardavano e io pensavo: “che bello, guardano il mio stile”, invece mi guardavano per il mio colore, c’era molto razzismo e diffidenza. Era una mentalità molto provinciale, limitata. Poi sono arrivati a lavorare immigrati da tutti i Paesi: sudamericani, rumeni, africani, nordeuropei, gli argentini in fuga dalla crisi, tanti italiani e altri ancora con la Coppa America nel 2004. L’atmosfera è cambiata ma anche le esigenze, il cibo, gli standard, i locali”. Risultato? “Ora la città è pulita, carina, si può camminare e andare in bici, siamo più cosmopoliti ma anche piccoli e spero che resteremo così: la bellezza di Valencia è anche l’atmosfera rilassata, priva di stress”.
LA PAELLA NON SI TOCCA
L’originale è a base di pollo, coniglio e verdure, non si mischiano mai carne e pesce, e si mangia a pranzo, mai la sera: questo si scopre appena arrivati in città della gloria locale. C’è un’organizzazione, Wikipaella, che certifica i luoghi dove si mangia quella autentica. Ci sono i corsi di cucina che insegnano a farla, organizzati da alcuni ristoranti come la Arrocería La Valenciana. C’è quella di pesce e quella vegetariana. E non poteva mancare la Semana de la Paella, quest’anno dal 6 al 17 giugno in 17 ristoranti della città, con menu che includono diversi tipi a 20 o 30 euro. Le “rivisitazioni” non sono gradite. Però ci sono dozzine di ricette di riso tra cui arroz negro (al nero di seppia), al horno (ricchissimo, richiama la pasta al forno siciliana), arroz meloso o caldoso (cremoso o con brodo). E ogni settembre il Concorso Paella Internazionale si tiene in uno dei villaggi del Parco Naturale dell’Albufera, che fa parte di quei 23mila ettari di terreni coltivati che circondano la città. Valencia è infatti un’isola in mezzo a un mare di campi di riso, ortaggi, agrumeti nella fertilissima pianura irrigata ancora dai canali costruiti dagli arabi (che furono cacciati nel XVII secolo).
[caption id="attachment_149546" align="aligncenter" width="615"] ©TVCB, Valencia. www.turisvalencia.es Mike Water Mikel Ponce[/caption]
L’IMPORTANZA DELLA PROMOZIONE
Come si trasforma una città gelosa detentrice del piatto nazionale in una destinazione gastronomica? Non certo negando la tradizione, anzi, come abbiamo visto, esaltandola. Ma allo stesso tempo cercando nuove vie. E promuovendole tramite eventi che coinvolgano più persone possibili. Portando, per così dire, il ristorante, anche quello stellato, al grande pubblico grazie a menu degustazione a prezzi calmierati. L’esempio più tipico è l’evento Cuina Oberta che due volte l’anno dal 2009, per dieci giorni vede i ristoranti più rinomati di Valencia proporre menu da 20 euro per il pranzo e 30 euro per la cena, bevande escluse, 35 e 45 euro nell’ultima edizione per i quattro stellati cittadini. Le prenotazioni avvengono tramite il sito di Turismo Valencia. Un modo per rilanciare i consumi. All’inizio di aprile, alla Mostra de Vin la città si affolla di bancarelle di vini, cavas e birre valenciane, ma anche di “embutido” (salumi) e formaggi locali. Gastronoma a novembre è un forum aperto al pubblico con degustazioni, laboratori, show-cooking, dibattiti. Ma ci sono festival e concorsi dedicati al carciofo, al salume e alla ciliegia. E la settimana delle tapas: due con una birra a tre euro. Il cibo, vecchio e nuovo, è ovunque. E la città oggi è pronta ad accoglierlo, da qualunque parte arrivi.
Si ringrazia per la collaborazione VLC, Turismo Valencia
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