caffè
05 Febbraio 2019"Mi dà un caffè?” è una frase che si sentirà sempre meno nei nostri bar. Perché gli specialty e le estrazioni alternative in Italia stanno arrivando, anzi sono già qui, un manipolo di pionieri lo stanno proponendo tra difficoltà e opportunità. E noi li abbiamo intervistati per capire come. L’arrivo di Starbucks conferma che i tempi sono maturi per un cambio di prospettiva. “Promuoverà apertura mentale verso il concetto di caffè monorigine diversificato, estrazioni alternative, attenzione alla materia prima e alla filiera: starà a noi avere una proposta simile ma di qualità superiore e garantire quell’attenzione al cliente che le catene non sanno dare” dice Paolo Panero di Bottega delle delizie. Perché, come spiega Francesco Sanapo di Ditta Artigianale “gli italiani hanno una storia impressionante, hanno creato l’espresso ma la nostra generazione si è cullata su questa conoscenza e ci siamo fermati. Il nostro compito è dare nuova vita al caffè”. Il vento insomma sta cambiando. E i locali specialty lo confermano. I clienti stranieri li cercano ovunque “mi hanno chiamato da uno yacht per comprare caffè specialty, non potevano credere che ce ne fosse a Napoli” dice Vincenzo Fioretto che dopo 17 anni in Vodafone a giugno 2017 ha tentato l’impresa impossibile: aprire Ventimetriquadri, un caffè 100% specialty nella città dove “tutti pensano si beva il caffè migliore al mondo”. E Napoli contro ogni previsione ha risposto con una grande apertura. “C’è la curiosità di scoprire qualcosa di diverso, non a tutti piace ma chi lo apprezza coinvolge amici e parenti, vuole mostrare agli altri la sua scoperta”. Dunque, anche gli italiani “crescono” in conoscenza e curiosità. Conferma il manager brasiliano Carlos Bitencourt, che a maggio ha aperto Cafezal a Milano: “ho lavorato a Londra dove ho vissuto la terza onda del caffè, sono arrivato a Milano come consulente aziendale e ho intravisto una porta aperta”. “Abbiamo un piccolo ma crescente gruppo di clienti che vengono regolarmente perché sono appassionati di caffè specialty e capiscono cosa stiamo facendo” conferma Brent Jopson di Orsonero.
IL CLIENTE AL CENTRO
Il cliente va accompagnato con mano e senza arroganza nel mondo spesso sconosciuto dello specialty e delle estrazioni alternative. Fin dalla vetrina va chiarito che l’offerta qui è… speciale. “Il locale va a due velocità, tutto è in funzione delle preparazioni, c’è una parte dedicata al brewing con divani e sedute e il bancone per chi non ha tempo e vuole un espresso” dice Alberto Nevola titolare di Tostato di Brescia e figlio di un torrefattore.Si può fare anche in uno spazio ricavato da una bottega di delikatessen aperta nel 1982 dai genitori, come ha fatto Paolo Panero di Bottega delle delizie a Bra, appassionato di caffè filtro: “ho voluto creare un angolo dove trovarsi e staccare dalla frenesia quotidiana”.
FRESCO E DI STAGIONE
Poi ci sono, naturalmente, “i” caffè: come si scelgono? A filiera corta stagionale, non esistono monorigini fisse. “Mi innamoro ogni giorno di un caffè diverso – dice Sanapo, pioniere, campione e anche lui figlio d’arte (il padre aveva una caffetteria a Foggia) –. Alla base della scelta c’è un caffè con almeno 85 punti SCA ma c’è anche la valutazione personale. Non è una regola assoluta, valgono molto i rapporti personali con i produttori”.“Cerco di avere almeno un caffè che incontri la gran parte dei gusti dei clienti, un kenyano o un etiope per chi ama caffè fruttati con un’acidità complessa e un centro o sudamericano per chi preferisce una acidità minore e sentori di cioccolato e noci” spiega Brent Jopson, canadese che con la moglie Giulia Gasperini ha aperto Orsonero, piccolo locale già diventato punto di riferimento della scena milanese. “Il core business è il caffè specialty. Tutto ciò che serviamo è tracciabile e a filiera corta, sostenibile. Compriamo in direct trading tramite progetti umanitari o da torrefattori che hanno rapporti diretti con il produttore. Occorre tracciare l’intera filiera, l’azienda agricola il lotto la pianta la data di raccolta e di tostatura perché un caffè specialty dopo un mese perde parte delle proprietà organolettiche, se macinato l’ordine è dei minuti. Non possono mancare un centroamericano, un centroafricano e una linea diretta con un produttore dove il barista non si limita al servizio, è utile come crescita personale e professionale e per diffondere conoscenza al cliente” dice Nevola. “Una volta al mese facciamo cupping. Da circa 30/40 ne selezioniamo tre o quattro che proporremo in negozio per i 2/3 mesi successivi” dice Bitencourt. Con i superspecialty come la star del momento, il Panama Gesha “bisogna attirare l’attenzione del cliente anticipandone l’arrivo, se ne ordina un chilo anziché 10 in pacchetti da 250 o 100 grammi. Si tratta in negozio come una limited edition, è un caffè per amatori” consiglia Panero.
CAFFÈ SÌ, MA COME?
L’estrazione si consiglia o si lascia al cliente la scelta? “Ricevuto il prodotto facciamo cupping e studiamo le ricette a locale chiuso, ogni caffè è preparato con tutte le nostre estrazioni. Se posso consiglio l’estrazione più adatta. Lo propongo in tazza da asporto o in mug a partire da 1,50 euro, come l’espresso realizzato con lo stesso caffè: un prezzo accattivante per invogliare il cliente a provare estrazioni diverse. In carta poi ho due proposte: lo stesso caffè estratto con due metodi diversi e brew vs brew, due caffè diversi con la stessa estrazione” dice Panero.
[caption id="attachment_151987" align="aligncenter" width="596"] Orsonero, Milano Foto: Rhianna May Photographer[/caption]
E PER FINIRE… IL PREZZO
“È l’unica nota dolente, c’è questa assurda regola italiana per cui un espresso al bar costa come l’acqua, è scandaloso” dice Sanapo. “La sensibilità al prezzo è uno dei problemi maggiori che deve affrontare chi propone specialty oggi in Italia” dice Jopson. Uno dei vantaggi del caffè filtro, che non fa parte di una tradizione consolidata, è proprio l’accettazione da parte del cliente di un prezzo più alto. Ma c’è un’ultima considerazione. Dice Fioretto: “Oggi quando i miei clienti prendono un caffè da un’altra parte capiscono se è bruciato, rancido o ha problemi, prima un caffè valeva l’altro”. Un campanello d’allarme per tutto il settore? Forse i tempi sono contati per l’era del caffè unico. Ma anche per quello non all’altezza delle aspettative.
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A cura di Matteo Cioffi
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