food
19 Marzo 2019Niente di meglio che delegare. Mettersi in pausa, lasciare che siano altri a darsi da fare e magari fissare con atarassica soddisfazione i fornelli spenti, consapevoli che la cena comunque arriverà. E che sarà esattamente come la si voleva. Unico sforzo? Rispondere al citofono. Be’ forse anche apparecchiare la tavola... ma non è che questo sia proprio tassativo. Per il resto: ode al relax, hakuna matata, scialla. Facile quindi capire come il food delivery abbia oggi assunto dimensioni importanti. Stando alla seconda edizione dell’Osservatorio “Mappa del Cibo a Domicilio in Italia”*, infatti, emerge che quello della consegna a domicilio è un servizio sempre più diffuso, che vale pressappoco 3,2 miliardi (calcolando complessivamente sia la modalità online sia quella offline) di euro e a cui oggi ricorrono circa 30 milioni di italiani (che ordinano via telefono o presso il ristorante) e che dispone di un potenziale di circa 10 milioni di utenti digitali. “Naturalmente specifica Daniele Contini Country Manager di Just Eat – la parte del leone è ancora appannaggio degli ordini telefonici, ma quelli tramite piattaforma digitale stanno rapidamente rimontando: valevano il 7% lo scorso anno, nel 2018 sono saliti all’11%”. Una crescita interessante che rende comunque evidente come questo sia un mercato ancora da sviluppare. Specialmente in alcune aree. “L’Italia infatti, – puntualizza Contini – non è solo Milano e Roma: il 93% dei nostri connazionali vive in piccoli centri ed è qui che vale la pena di lavorare per diffondere il servizio.” Dello stesso parere anche Matteo Sarzana, General Manager Deliveroo Italia: “Senza dubbio Milano, continua a dare ottime soddisfazioni. Ma le sorprese non mancano. Oltre alle città più grandi come Roma, Firenze e Bologna, stanno crescendo molto Cagliari, Pavia, Monza e Parma. Realtà dalla lunga e consolidata tradizione culinaria che stanno dimostrando come gli italiani stiano cambiando le abitudini alimentari.” Insomma: la domanda c’è. Aspetta solo di essere soddisfatta.
*MAPPA DEL CIBO A DOMICILIO IN ITALIA 2018
L’indagine è stata realizzata da Just Eat in 20 città, su un campione di 15.000 utenti, di ambo i sessi e compresi tra i 18 e i 55 anni analizzando le abitudini, gli ordini, le preferenze e le variazioni nei diversi periodi dell’anno.
RISCHIO OD OPPORTUNITÀ?
E neanche l’offerta latita. Anche se alcuni esercenti nutrono ancora qualche perplessità sul servizio: temono infatti che il delivery possa erodere i consumi più tradizionali. “Perché non si guarda la cosa dall’ottica corretta – spiega Daniele Contini –. Quando si comprende che il food delivery deve essere un’alternativa alla cucina domestica e non all’esperienza del ristorante fuori casa (che è un’occasione di consumo ben diversa, caratterizzata da ritmi, rituali e aspettative completamente differenti) la prospettiva cambia. Addirittura ritengo che per chi si struttura bene i volumi addizionali rispetto al business iniziale potrebbero attestarsi tra il +15 e il +25%”. Non è della stessa opinione Luca Negrelli della Rosticceria Galli di Milano che, in proposito, è piuttosto tranchant: “La mia idea? Se è vero che da un lato il delivery qualcosa dà (in termini di servizio) è vero pure che qualcosa toglie. Vuole sapere se possiamo parlare di fatturati in aumento? Ehm, ho dei dubbi in merito: per lo più rimangono invariati. Il mio business è sempre stato l’asporto, con le consegne a domicilio sto assistendo a un travaso da una modalità all’altra. Non a un’integrazione.” Di fatto il rischio che la coperta diventi troppo corta c’è. “Che il food delivery potesse rosicchiare i profitti e stornare i consumi dal locale era proprio il timore dei miei due soci (Stefano Zenga e Andrea Garavoglia, ndr) – ci svela infatti Pier Franco Masera del Pacific Poke di Torino –. Per fortuna sono riuscito a convincerli spiegando loro la necessità di fare economia di scala, lavorando su più piattaforme di food delivery (da Just Eat a Deliveroo, passando per Foodora e Uber Eats, ndr). Per scongiurare poi il rischio di una fuga dal locale, puntiamo sul nostro duplice concept: il Pacific Poke Express, solo per il servizio a domicilio, e il Poke Restaurant con un’offerta peculiare, da gustare esclusivamente in loco. Due format distinti che riescono a farsi da traino reciproco.” Nessuna remora, invece, per Manuel Vanzo di Piada Burger Mania di Modena: “Per me il delivery è il futuro: sono cambiate le necessità dei clienti e anche le loro modalità di consumo. Bisogna cogliere al volo l’occasione: se non ti attrezzi tu per la consegna a domicilio, i clienti andranno da chi può offrirgliela.”
LÀ DOVE IL VOLANTINO NON ARRIVA
“Ovviamente è importante strutturarsi bene – consiglia il manager di Just Eat – e puntare sull’unicità, scegliendo proposte gastronomiche originali e nuove. In molte città di provincia c’è ancora un’offerta limitata e circoscritta a poche tipologie: è qui che si deve lavorare. Prendiamo per esempio il greco e il messicano: la richiesta è ampia ma in provincia l’offerta scarseggia”. Messaggio ricevuto: la pizza non è l’unica opportunità, il mondo del cibo offre infinite possibilità. Come ci dimostra Sonia Hortua dell’Areperia di Firenze, che – servendo rigorosamente cucina venezuelana – si è creata una propria nicchia di mercato. “Anche se all’inizio i fiorentini erano un po’ diffidenti, siamo riuscite a costruirci una nostra clientela affezionata, ed ora le consegne a domicilio sono in crescita. Ovviamente essere presenti sulle piattaforme ci dà una certa visibilità aggiuntiva.” Su questo concorda in pieno Alex Montesano di Voglia di Sushi di Rho: “Ritengo utile potersi appoggiare a un collettore di ordini, che fornisce un’integrazione al sevizio e un plus d’immagine funzionale alla diffusione e alla comunicazione del proprio locale. Questo ci ha aiutato a crearci una clientela affezionata, che poi magari serviamo a domicilio anche bypassando le piattaforme.” Stessa linea per Vanzo: “Grazie a Just Eat siamo arrivati là dove i volantini non erano riusciti. In poco tempo, gli ordini sono aumentati da una media di 10 al giorno a 50/ 60. Il brand della piattaforma ha funzionato come una sorta di garanzia…” “L’utente è pigro – riflette in proposito Masera – non va a cercare il locale, ma si affida alle piattaforme, scegliendole anche in base a personali simpatie. E noi esercenti dobbiamo saper sfruttare la visibilità che ce ne può derivare. Insieme ai social, sono il miglior strumento di visibilità per noi. Per questo, nella fase di lancio del nostro poke da passeggio abbiamo siglato un accordo in esclusiva temporanea con Uber Eats, come megafono del nuovo prodotto.” Certo c’è la nota dolente delle commissioni, considerate decisamente elevate da Negrelli “specialmente quando non si registra lavoro aggiuntivo dal servizio delivery”; mentre più conciliante si rivela Masera che pensa “siano da valutare in base al servizio offerto” e le ritiene “trattabili in base alla posizione di mercato”.
NON SOLO MILLENNIAL
Ma, commissioni a parte, il gioco può valere la candela. Specialmente visto che la platea degli utenti (reali e potenziali) è veramente ampia. “Il cliente Deliveroo – ci spiega infatti Sarzana – è molto trasversale. Ad esempio uomini e donne quasi si equivalgono. In termini di età media la maggioranza di chi ordina ha tra i 18 e i 45 anni. E non sono solo nativi digitali. Anzi. Le famiglie stanno apprezzando sempre di più i nostri servizi.” Consumi familiari molto elevati (70% circa) anche per Negrelli e clienti giovani ma non giovanissimi (30-45 anni) per Montesano di Voglia di Sushi. Quanto al momento di consumo pochi dubbi: stravince la cena. “Per me – ci spiega Vanzi – vale l’80% degli ordini giornalieri”. “La cena – conferma Sarzana – è il momento più gettonato dai clienti Deliveroo. Ma stanno crescendo in modo significativo anche i pranzi in ufficio e le colazioni della domenica”. E la cosa non deve sorprendere, il desiderio di farsi coccolare non ha orario…
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A cura di Matteo Cioffi
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