31 Luglio 2019
Whisky is risky dicono gli scozzesi. Ovvero, dietro il glamour, il tintinnio dei tulipe e i film di James Bond, il mestiere di distillare il notissimo liquore scozzese è tutt’altro che semplice. Soprattutto per una questione di tempi: tre anni come minimo in botte perché si possa parlare di scotch whisky. Pianificare è dunque fondamentale ma è anche impossibile sapere a medio termine come andrà il mercato. Risultato: molti “piccoli” con poca liquidità in passato hanno dovuto chiudere, abbandonando la distilleria con botti piene ad invecchiare. Sono le cosiddette ghost distilleries, le distillerie fantasma, chiuse perché la produzione si è fermata ma in certo senso ancora attive perché potenzialmente con dei tesori in cantina. Sono giunte alla ribalta delle cronache nel 2015 con l’annuncio che Diageo avrebbe riaperto due storici stabilimenti, Brora e Port Ellen, chiusi nel 1983: la produzione ripartirà l’anno prossimo, nel 2020. In altri casi questi esempi di archeologia industriale, spesso bellissimi, sono ricercati per il contenuto delle botti, venduto come single malt o con il quale creare blend raffinatissimi ed unici che non sarà più possibile riprodurre.
UP AND DOWN
La storia del whisky è lunga e risale al Medioevo ma ha subito parecchi alti e bassi. A partire dalla “bolla” di fine Ottocento quando in un decennio aprirono due dozzine di distillerie. Troppe, e infatti molte ebbero vita breve. Altro stop durante le due guerre mondiali, e ancora negli anni ’80 quando il distillato scozzese, percepito come bevanda “antica” troppo cara e poco cool, si allontanò dal pubblico giovane. Molte distillerie non ressero il calo della domanda e dovettero chiudere, anche perché non avevano la possibilità di rinnovare gli impianti. Il che rende le loro riserve ancora più particolari, perché distillate secondo pratiche antiche. Oggi in Scozia le distillerie attive sono poco più di 120, la metà che nell’Ottocento. Il futuro si vedrà. Le distillerie fantasma in fondo sono una cartina al tornasole della salute del comparto: se il whisky sarà popolare e ben gestito idealmente sono un fenomeno destinato a spegnersi una volta prosciugate le riserve, per mancanza di altri fallimenti.
BLEND C’È CHI DICE NO
Al momento però stiamo parlando di una sorta di patrimonio dell’umanità da non disperdere – secondo alcuni puristi – in blend con altre provenienze. Come scrive Angus McRaild su scotchwhisky.com: “Sono il prodotto di un’altra era, la somma di metodi di produzione, ingredienti e una cultura diversi. Mischiare queste riserve con altre sembra irrispettoso. Anche se non tutte le botti saranno di qualità, ormai ce ne sono talmente poche da poter essere valutate con attenzione una a una e, se possibile, imbottigliate come single malt. Per rispettare ciò che è diventato, per un accidente della storia, una riserva importante e limitata di whisky”.
PERCHÉ PIACCIONO
Stiamo parlando di prodotti rari, unici, con un aroma distintivo che – romanticamente – non tornerà. È questo probabilmente ciò che rende questi whisky così speciali. Mai come in questo caso la conoscenza, la storia di quello che si sta bevendo è parte dell’esperienza. In un’epoca in cui il cliente cerca novità ma anche autenticità e storia, un ghost whisky potrebbe essere la chicca da aggiungere al proprio arsenale da bar. A caro prezzo, certo. Il prezzo della storia.
WHISKY E TURISMO
Dalla storia del whisky al turismo whisky-gastronomico il passo è breve. E infatti sono innumerevoli i siti che hanno aperto le porte con centri visitatori anche nelle rinate distillerie fantasma. È un viaggio nel tempo e nella cultura della Scozia intrapreso ogni anno da molti appassionati (1,9 milioni nel 2017) e che forse anche i professionisti del settore non dovrebbero mancare. Per informazioni: www.visitscotland.com
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A cura di Matteo Cioffi
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