01 Gennaio 2020
In principio fu Greta Thunberg, la sedicenne svedese che ha svegliato le coscienze a Davos con un discorso diventato famoso: “la nostra casa è in fiamme”. Un messaggio che ha avuto più eco in Paesi come l’Italia che nella sua patria, già sensibilizzata. Da noi il tema è meno sentito. Nel corso del recente Festival dello sviluppo sostenibile a Milano, le imprese riunite in Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) hanno lamentato l’assenza di politiche adeguate, chiedendo un tavolo con il Governo. Le elezioni europee hanno visto un’ottima affermazione dei partiti verdi in molti Paesi, ma le politiche ambientaliste sono sembrate totalmente al di fuori del dibattito politico italiano. Eppure, che la sostenibilità sia “il” tema del futuro, oltre a Greta, lo dicono numeri ed esperti. E se per una volta fossero ristorazione e pubblici esercizi a tirare la volata? Lo propone il presidente di Fipe Lino Stoppani che dalle pagine di Mixer scrive: “La responsabilità dei Pubblici Esercizi è anche quella di essere “pubblici” e di saper generare usi e abitudini, di diffondere buone (o cattive) pratiche, alimentando una consapevolezza sociale o rinfocolando l’indifferenza comune”. Ma cosa significa diventare un esercizio sostenibile?
COSA METTO NEL PIATTO
“Il cibo è vittima e carnefice al tempo stesso dei cambiamenti climatici, è il primo agente di cambiamento e la prima porta che ci connette al Pianeta”, ha detto assai efficacemente Claudia Laricchia, coordinatrice di Future Food for Climate Change dall’Envisioning Forum promosso da IED a Milano. Trovare nel piatto alimenti biologici può essere per alcuni clienti un motivo per pagare di più (lo fanno già al supermercato). Ma biologico e sostenibile non sempre vanno insieme. Va presa in considerazione la logistica, il consumo di acqua e le emissioni di CO2. I bovini emettono metano, un gas serra più dannoso dell’anidride carbonica. E la pesca intensiva sta spopolando i mari. In Australia 40 chef hanno firmato il Good Fish Project in cui si impegnano a servire solo frutti di mare sostenibili. Ben Shewry del ristorante di Melbourne Attica, ventesimo nella classifica 50 Best, ha detto “nella mia posizione di chef di un noto ristorante ho una grande influenza su cosa mangia e come cucina la gente. Se non ho un menu pulito e sostenibile, se non uso le migliori pratiche per il pescato, sono parte del problema”. Considerate la possibilità di offrire un prodotto iconico, che parla da sé. Come la Toast Ale, realizzata con pane invenduto di Tristram Stuart, un Greta ante litteram che nel 2009 denunciò lo scandalo del cibo commestibile ma buttato da ristoranti e supermercati.
COSTI RIDOTTI
La consapevolezza è il primo passo per passare a un approccio green al ristorante. Google nei caffè del suo quartiere generale a Mountain View (servono 200mila pasti al giorno) ha salvato in cinque anni 2.720 tonnellate di cibo... pesandolo. Dare valore al cibo significa tarare meglio gli ordini delle materie prime e pensare a come riutilizzarle per un pasto seguente. Cose da poveri? Non proprio, lo fa da anni uno chef stellato come Pietro Leemann che progetta ogni ricetta per evitare sprechi. La parte non utilizzata di una verdura è usata per creme, salse e paté e se non edibile è avviata al compost nell’orto fuori Milano. Sprecare meno materia prima significa avere minori costi sia per l’approvvigionamento sia per lo smaltimento. “Riusciremo a dimezzare lo spreco di cibo entro il 2030 solo se si impegneranno i ristoranti e i locali. Ogni fase della filiera del cibo ha una responsabilità – ha detto Dave Lewis di Champions 12.3 –. Ma ridurre lo spreco di cibo non è solo una cosa giusta, è una scelta commercialmente intelligente”.
IL RUOLO DEL PERSONALE
LeanPath è una associazione americana che da 15 anni fornisce attrezzature per misurare e tracciare i rifiuti alimentari e istruisce gli chef su come utilizzare tali dati. Oggi dichiara di essere in grado di salvare con le sue pratiche un chilo di cibo ogni 4 secondi. “I lavoratori – ha dichiarato il Ceo Andrew Shakman – ogni giorno, ogni secondo impediscono lo spreco e stanno facendo la differenza nei locali e per il pianeta. Per molti chef poi salvare cibo è un istinto, è stato loro insegnato che il cibo ha un valore e sono naturalmente portati a non sprecare ciò che cucinano”. Sul sito info.leanpath.com si può calcolare quanto un ristorante può guadagnare dall’adozione di pratiche sostenibili. In termini di minori costi e sprechi. Perché la sostenibilità, è questo il grande messaggio, non è solo una necessità o un modo per attirare clienti sempre più consapevoli. È anche un’opportunità di business, e alla fine conviene.
12 pratiche sostenibili nel locale
– Doggy bag: ormai imprescindibile. È usata poco ma, se richiesta, non si può non averla;
– menu parlante che segnali non solo tutti gli ingredienti ma anche la “taglia” delle porzioni;
– materie prime sostenibili e dichiarate: bio, a km zero, di piccoli produttori, magari con un’opzione “a cm zero” (orto privato o giardino di erbe aromatiche);
– piatti vegetariani: più di uno e da curare con attenzione, come gli altri. Perché non sono più un ghetto per clienti bizzarri ma un’opzione per tutti;
– misurare la quantità e il valore economico del cibo che si getta ogni giorno serve: l’ha fatto Google nei suoi caffè risparmiando tonnellate di cibo;
– coinvolgere il personale nelle pratiche sostenibili è cruciale perché queste vengano seguite;
– arredi per esterni, mini orti, accessori possono essere realizzati con materiale recuperato;
– raccolta di acqua piovana: può essere utilizzata per la toilette, uno dei maggiori sprechi di acqua potabile che ci sia, o per l’irrigazione;
– plastica no grazie: da evitare prima che sia bandita nel 2021 la plastica monouso, ma attenzione anche agli imballaggi;
– occhio ai rifiuti speciali (oli esausti), a esalazioni in cucina e ai rumori (inquinamento acustico), e all’uso di prodotti per le pulizie che producono VOC (composti organici volatili);
– energia: sceglierla da fonti rinnovabili e dichiararlo al cliente. Attenzione ai consumi dei macchinari;
– meglio donare che buttare: oltre a Banco Alimentare ci sono varie associazioni che aiutano a creare rete nelle comunità. Come Food for Soul di Massimo
Bottura e Last Minute Market, pioniere, che recupera pure il cibo di MasterChef Italia.
Doggy bag o menu parlante? Cosa vuole il cliente
L’ultimo anello della catena di spreco di un ristorante è il cibo avanzato nel piatto del cliente. Bocconi Green Economy Observatory e METRO hanno chiesto ai clienti come arginare il problema. Scoprendo che l’86% dei rispondenti vede nella doggy bag una buona soluzione, ma pochi poi la richiedono o ne fanno uso. Le motivazioni sono pratiche: dagli avanzi troppo scarsi al cibo non gradito, alla conservazione prima di arrivare a casa, all’imbarazzo di chiederla. In realtà solo l’11% dichiara di avanzare cibo al ristorante, ma per il 68% la maggiore responsabilità degli avanzi è da attribuire ai ristoratori. Che dovrebbero affrontare il problema dello spreco con diverse soluzioni, dalla donazione ad enti caritatevoli (92%) all’asporto da parte dei clienti stessi (86%), alla donazione ad enti a sostegno degli animali (85%), alla destinazione del cibo allo staff (56%) e, in ultimo, al riutilizzo in altre occasioni di consumo (49%). Non solo: il ristoratore dovrebbe fornire un menù parlante, ovvero con immagini dei piatti, perché una delle cause degli scarti è l’aspettativa mancata del cliente. Ma si considerano utili anche un elenco dettagliato degli ingredienti e indicazioni sulle dimensioni delle porzioni.
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A cura di Matteo Cioffi
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