spirits
23 Giugno 2014Pegoraro è un nome che rappresenta qualità ed esperienza e, seppure come parola potrebbe avere un suono particolare per il popolo cinese, a Tianjin suona di certo familiare. Suo papà, Renato, è stato il primo italiano a rimettere piede nella Concessione Italiana a Tianjin e il primo che ha saputo costruirsi un piccolo impero imprenditoriale legato al mondo del Food&Beverage.
Da qualche anno Gabriele vive e lavora in Cina dove, oltre a gestire con il padre due ristoranti, ha messo in atto il primo esperimento di nightlife all’italiana in Cina e ci racconta come il progetto abbia cambiato forma per adeguarsi meglio all’ambiente socioculturale del Paese del Dragone.
Un anno e mezzo fa hai aperto e preso in gestione diretta il Mama Mia Music Club, un locale partito da tre assunti: qualità, cura dei dettagli e una ricca selezione di cocktail. Poi che è successo?
«Con una buona dose di rammarico, ma anche tanta razionalità, ho capito che era arrivato il momento di abbandonare il progetto del Mama Mia Music Club e di occuparmi solo della parte contabile e della gestione del magazzino. Purtroppo il progetto, com’era stato ideato, con una concezione prettamente europea del nightlife e cocktail di qualità, faticava a decollare. Ho pertanto deciso di darlo direttamente in gestione a degli imprenditori cinesi per dedicarmi, insieme a mio padre, esclusivamente alla gestione dei due ristoranti italiani Venezia Club che abbiamo a Tianjin e Tanggu: la ristorazione ha riscontri nettamente positivi rispetto al nightlife».
Insomma, ti sei trovato di fronte ad un caso di diffidenza culturale?
«Non tanto diffidenza quanto mentalità assolutamente differenti. Inoltre, nonostante la Cina continui ad avere uno sviluppo economico forte, l’evoluzione socio-culturale non ne segue di pari passo l’andamento: le città crescono a livello di insediamenti industriali e demograficamente, ma rimangono legate ad idee provinciali, specchio quindi anche del modo di divertirsi nei locali e nel bere: litri di birra di pessima qualità o bottiglie di liquori e distillati che hanno solo il brand che attira miscelati ad improbabili soft-drink».
Quali altre differenze principali hai notato fra nigthlife in Italia e in Cina?
[caption id="attachment_27653" align="alignright" width="300"] Gabriele Pegoraro[/caption]
«A parte Shanghai e Hong Kong, due città dall’appeal internazionale, e per certi versi anche Shenzhen, è veramente difficile trovare un locale in Cina che abbia improntato il proprio business prettamente sulla cultura del cocktail. I locali che vanno per la mag- giore sono discoteche piene di divanetti e tavoli alti, dove lo spazio per ballare è ridottissimo, si punta infatti molto sullo show di ballerini e cantanti, e il deejay mentre suona ha alle spalle megaschermi che bombardano di immagini chi li guarda. I menù comprendono al massimo cinque o sei cocktail, un paio di birre in bottiglia e qualche bottiglia di alcolici famosi, ma che a volte vengono contraffatti. Inoltre molti brand di liquori e distillati in Cina sono di difficile reperibilità».
Nonostante la sfida non sia facile e le differenze numerose, continui ad occuparti di diverse attività in Cina: cos’è che ti piace di più di questo Paese?
«Diciamo che la Cina, come molti altri paesi asiatici, rappresenta il futuro per le possibilità di sviluppo in ambito imprenditoriale ed economico. Certe megalopoli cinesi sono fantastiche per la fusione tra architettura di quartieri antichi con gli enormi grattacieli».
Qual è il locale più stravagante che hai avuto modo di visitare?
«Neanche a dirlo, il locale che più mi ha colpito è di certo il celebre bar del Raffles Hotel a Singapore dove è stato creato nel 1915 il Singapore Sling».
Parliamo ancora di bar e cocktail: quali sono i ricordi a cui sei più legato?
«Ne ho molti: dai pomeriggi a ballare in discoteca da ragazzino ai momenti passati nel bar di fiducia che frequento ormai da 15 anni ogni volta che torno in Italia. E poi c’è il primo drink che ho bevuto, un Gin Tonic, e quello che amo di più, il Cuba Libre!».
Andiamo sul “personale”, se guardi indietro al tuo passato ti ricordi ‘cosa volevi fare da grande’?
«Non avrei mai pensato di ritrovarmi in Cina a gestire attività legate al mondo del Food & Beverage; ero intenzionato a continuare la carriera che avevo cominciato nello sport, ma poi il destino mi ha riservato un’altra strada, anche se devo ammettere che il sogno che ho sempre custodito era quello di vivere e lavorare all’estero».
Quale consiglio ti senti di dare a chi decide come te di proseguire la carriera all’estero?
«A chi ha la voglia e la forza di volontà di cambiare radicalmente stile di vita ed affrontare ogni giorno sfide nuove sia in ambito lavorativo che personale consiglio di cogliere al volo occasioni di carriera all’estero quando si presentano. Non è facile di certo e bisogna sapersi adattare, provare e riprovare, come sto facendo io ma le sod- disfazioni non mancano!».
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