pubblici esercizi
12 Novembre 2014Più consumi alimentari in casa, meno al ristorante. Siamo sicuri che sia proprio così?
La crisi non risparmia nessuno. Soprattutto quando ha dimensioni eccezionali come l’attuale. Tanto per rinfrescare la memoria ricordiamo qualche numero.
Una sforbiciata ai consumi per sessantasei miliardi a prezzi reali, 12,6% di disoccupazione, 6 milioni di persone in condizione di povertà assoluta, -10% il potere d’acquisto delle famiglie rispetto al 2007, inflazione in territorio negativo tanto per richiamare lo spettro della probabile deflazione.
Appena qualche settimana fa la BCE ha assunto decisioni straordinarie per affrontare una situazione straordinaria. Ma l’azione di politica monetaria senza una contestuale azione di politica fiscale (leggi riduzione della pressione) rischia di essere inefficace soprattutto in un Paese come il nostro che tra i tanti problemi di cui soffre sconta anche quello di una domanda interna che non dà segni di rilancio.
Nell’ambito della più generale caduta dei consumi colpisce, come da più parti è stato prontamente rilevato, il taglio della spesa alimentare. Un fatto rilevante sia perché i consumi alimentari sono sempre piuttosto anelastici rispetto alla congiuntura, sia perché tutto ciò avviene nel Paese dell’eccellenza gastronomica.
Tra il 2007 ed il 2013 i consumi alimentari nel canale domestico hanno subito una riduzione reale pari ad oltre 15 miliardi di euro. A giugno di quest’anno la variazione delle vendite al dettaglio dei prodotti alimentari (valore corrente che incorpora anche la dinamica dei prezzi) ha fatto registrare un -2,4% rispetto allo stesso mese di un anno fa.
Di questi fatti non c’è traccia nei sondaggi che mirano a rilevare i comportamenti di acquisto dei consumatori.
Nel recente rapporto Coop 2014 “Consumi e Distribuzione” la riduzione della spesa per prodotti alimentari occupa la penultima posizione nella graduatoria della spending review delle famiglie, appena prima delle spese per la salute. Il 29% delle famiglie afferma di spendere meno dell’anno scorso per l’acquisto di prodotti alimentari e l’11% dichiara, invece, di spendere di più.
Ai primi tre posti, parliamo quindi dei settori nei quali si concentrerebbero i tagli maggiori, troviamo ristorazione, turismo e spettacoli (cinema, teatri, concerti).
Ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Mettendo a confronto la dinamica reale dei consumi in casa e fuori casa sembrerebbe di no, almeno per quanto riguarda l’effetto sostituzione.
RISULTATI “viziati”?
è assai probabile che i risultati dei sondaggi siano “viziati” da fattori psicologici connessi alla scala di accettabilità sociale dei comportamenti di consumo. Sarà per questa ragione che la riduzione dei consumi alimentari occupa sempre le posizioni basse nelle graduatorie dei tagli che vengono elaborate in tutti i sondaggi.
Ma c’è anche un fatto tecnico a cui si presta poca attenzione. Mentre tutte le famiglie fanno la spesa, non si può dire altrettanto per la frequentazione di bar, ristoranti e vacanze. Dall’indagine Istat sui consumi delle famiglie emerge che solo una famiglia su tre effettua spese per consumazioni fuori casa in ristoranti, trattorie, ecc. E sono, in media d’anno, 12 milioni gli italiani che fanno almeno un viaggio per vacanza. L’impressione è che nei sondaggi queste discriminanti vengano ignorate lasciando che rispondano tutti, anche coloro che non hanno la consuetudine di frequentare ristoranti o luoghi di vacanza.
Quando si tratta di questi consumi, differentemente da quanto accade per l’acquisto di prodotti alimentari, la variabilità della spesa può essere elevata. I dati appena diffusi dal barometro cashless di CartaSì e “CorrierEconomia” registrano nel mese di luglio un aumento degli acquisti del 3,2% in alberghi e ristoranti e rilevano da un lato un ritorno in territorio positivo delle spese dei “basso spendenti” e dall’altro l’indifferenza alla crisi dei consumatori che detengono quote di reddito elevate e che quasi mai, anche nei momenti peggiori della crisi, hanno ridotto il proprio tenore di vita.
Con queste premesse la tesi secondo cui nel consumo alimentare si va affermando un ritorno all’interno delle mura domestiche, a scapito del fuori casa, appare assai debole.
Abbiamo iniziato dicendo che la crisi non risparmia nessuno. Ed infatti anche i consumi alimentari fuori casa arretrano. Tra il 2007 ed il 2013 c’è stata una contrazione della domanda per 1,9 miliardi di euro.
Per l’anno in corso le previsioni, penalizzate da una stagione estiva caratterizzata dal maltempo, rimangono negative. Nel primo semestre il fatturato delle imprese di ristorazione è aumentato dello 0,6% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Se si considera che il valore incorpora la dinamica dei prezzi pari, nel periodo, all’1,4% ne deriva che il fatturato registra, in termini reali, una variazione negativa per poco meno di un punto percentuale. In questa seconda parte dell’anno è possibile che le perdite vengano, almeno parzialmente, recuperate.
OCCASIONI DI CONSUMO
Ma c’è da aggiungere un’altra considerazione. Il fuori casa è fatto di diverse occasioni di consumo che la crisi ha interessato con maggiore o minore intensità. La pausa pranzo, ad esempio, è l’occasione che più ha risentito dell’impatto della crisi sia per la diretta riduzione del numero di consumatori (perdita posti di lavoro) e sia per la propensione a ricercare soluzioni più economiche.
Tra chi pranza fuori casa, il numero di chi lo fa direttamente sul luogo di lavoro è aumentato di 500 mila unità dal 2007. Meno importante è la razionalizzazione dei consumi nelle occasioni di convivialità, in particolare la sera e durante i fine settimana.
Il mercato alimentare fuori casa conferma la sua forza anche se la crisi ha reso ancor più evidenti alcune criticità a cominciare dall’elevato turn over e dall’espansione dell’offerta parallela.
Nel I semestre del 2014 il saldo tra aperture e chiusure è stato negativo per oltre 5 mila imprese a testimonianza di un quadro che resta molto difficile.
Senza un’azione combinata di politica monetaria e di politica fiscale, da congegnarsi inevitabilmente a livello europeo, da questa situazione non si esce. Nel primo caso si va nella direzione di stimolare investimenti ed export deprezzando il valore dell’euro da cui possono derivare benefici anche sul versante dell’inflazione, nel secondo in quella di sostenere e rilanciare i consumi e quindi la domanda interna.
Se l'articolo ti è piaciuto rimani in contatto con noi sui nostri canali social seguendoci su:
Oppure rimani sempre aggiornato sul mondo del fuori casa iscrivendoti alla nostra newsletter!
POTREBBERO INTERESSARTI ANCHE
21/11/2024
Una piattaforma che permette ai ristoratori di scegliere tra una gamma di imballaggi sostenibili, sia compostabili che realizzati in carta, cartone o plastica riciclata. È Deliveroo Packaging, ora...
21/11/2024
Nel cuore di San Frediano, una delle zone più vibranti di Firenze, il Gunè Next Door si rinnova. A guidare il cocktail bar arriva Matilde Martelli, ventottenne fiorentina doc, che dal 9 ottobre ha...
20/11/2024
Si è parlato di educazione alimentare nel corso dell’assemblea annuale di Fipe-Confcommercio a Roma. Sul tema la federazione, dopo il contributo delle istituzioni nell’ambito della formazione...
20/11/2024
L’essenza bio diventa l’anima di Belvedere. A giugno di quest’anno, la vodka di casa Moët Hennessy, dopo tre anni di studi e ricerche, ha ottenuto la certificazione biologica europea,...
A cura di Matteo Cioffi
I NOSTRI PORTALI
Quine srl
Direzione, amministrazione, redazione, pubblicità
Tel. +39 02 864105 | Fax +39 02 72016740 | P.I.: 13002100157
©2024 - Tutti i diritti riservati - Responsabile della protezione dati: dpo@lswr.it
Privacy Policy