10 Dicembre 2014
Dario Comini, Agostino Perrone e Luca Picchi, riconosciuti guru della scena bartender italiana, spiegano come sta cambiando la mixology in Italia e nel mondo
Non si può sempre pendere dalle labbra di mentori come Dushan Zaric. E non si può sempre pensare che in eterno The Aviary di Chicago detterà legge. Certo, locali come The Dead Rabbit di New York o il The Artesian at the Langham di Londra fanno ancora il bello e il cattivo tempo. Ma, si sa, le variabili e l’estro dei migliori bartender sono dietro l’angolo. Nella miscelazione qualcosa dovrà pur cambiare. Così, ai guru della mixology, come Dario Comini, Ago Perrone e Luca Picchi, Mixer ha chiesto dove stia andando la scienza del mix. Davvero si è fatto e osato di tutto? E quali saranno gli ingredienti che ci accompagneranno nei prossimi anni, tra spezie, aromi, frutta e chimica molecolare? Le nuove tendenze, le estreme sperimentazioni nascono davvero a Sydney, ad Amsterdam o a Tel Aviv?
La modern mixology non ha più limiti
DARIO COMINI DEL NOTTINGHAM FOREST di Milano e bartender di riferimento nel panorama internazionale ci racconta la sua versione dei fatti.
«La modern mixology non ha più confini: sono stati rotti gli argini che ci confinavano nel classico e ora si presenta un futuro senza limiti. Grazie ai viaggi più frequenti e al più veloce scambio di notizie, la possibilità di provare nuove tecniche e nuovi ingredienti è diventata senza limiti».
I cocktail che metterai in carta nel 2015 sono in fase di gestazione e sperimentazione?
Certamente. La messa a punto di un drink dura parecchi mesi, la fase iniziale è l’idea di base, che poi viene sperimentata sul pubblico attraverso la proposta come drink del giorno. Quindi, nel periodo successivo, viene ‘sgrossata’ sia la preparazione che la ricetta affinché il suo tempo di preparazione non duri più di un minuto.
Cosa ha caratterizzato il 2014?
Il cocktail favorito dalle masse nel 2014 è ancora sicuramente lo spritz, ma nelle sue diverse varianti. Nel mondo del cocktail bar di lusso il Martinez classico e il Sazerac sono cresciuti in maniera esponenziale nelle richieste. Sentiremo ancora parlare di zenzero in tutte le sue varianti, come la Galanga, un sapore molto gradito dagli italiani.
Ma è tutta una questione d’istinto il cocktail perfetto?
C’è studio e istinto. Uno non esclude l’altro. L’idea fa scaturire la ricetta in fase embrionale, poi attraverso questo percorso viene perfezionata fino ad arrivare al menù.
Sembra tu non abbia preconcetti.
Penso che non esista una ricetta che non vada bene, bensì ricette più o meno adatte a profili differenti. Sarà l’esperienza a suggerire al professionista quella più corretta per quel momento e per quella persona.
Oceania, Nord Europa e Medio Oriente hanno qualcosa da dire?
Tutti i barman del mondo al momento guardano verso Londra dove grandi bartender italiani dettano le linee guida.
Ma in un futuro non molto lontano la Cina si farà sentire.
In sintesi, come è possibile migliorare il settore e il prodotto?
Comini sorride e risponde chiosando. Questa domanda è degna di una grossa consulenza ben pagata.
Perché, essendo anche molto spettacolare, la miscelazione non ha conquistato la tivù?
La mixology ha già pescato a piene mani dalla cucina e le mie tecniche lo dimostrano. Il grosso pubblico televisivo è più portato alla cucina in quanto è una pratica diffusa in ogni casa, anche tra i single; il cocktail invece è già più elitario. Il problema televisivo è il vincolo alla censura oraria: i superalcolici non possono essere pubblicizzati in tutte le fasce orarie e questo blocca gli sponsor, perché il grande pubblico resta escluso. Sono stato contattato da molte emittenti per format sui drink. Ma poi non se n’è mai fatto nulla.
AGOSTINO PERRONE DEL THE CONNAUGHT
Supportato da Luca Pirola, Agostino Perrone del The Connaught di Londra è un altro grande esperto del settore.
«La mixology è un veicolo per esplorare i segreti delle culture, dalle più remote alle più vicine, ingredienti e metodi di lavorazione. Il tutto è trasformato in un cocktail con una storia per coinvolgere il cliente. Ci sono sempre tante novità da scoprire nel settore: la ricerca e il viaggio sono alla base di tutto. Le mie scelte saranno orientate sul made in Italy e sul divulgare la nostra passione grazie anche al gruppo di Bartender.it».
Il 2014 è stato un anno molto sperimentale, basato soprattutto sull’utilizzo di prodotti genuini.
Penso che il 2015 seguirà questa scia, con l’aggiunta di connessioni culturali e storiche di prodotti specifici a certe aree. La mandorla poi ci accompagnerà per diverso tempo. Io sono un istintivo: l’ispirazione a me arriva come una decisione del subconscio. La ricerca a tavolino aiuta ad avere confidenza con la parte tecnica. E sicuramente una aiuta l’espansione dell’altra.
Hai anche un motto...
“Doesn’t matter what you do it, but how you do it”. Ovvero: non importa cosa fai, ma come lo fai.
L’Italia è una nazione che sta dando molto alla mixology.
Questo grazie a realtà come il Fresco Cocktail Shop di Como, il Nottingham Forest di Milano per la sperimentazione e il Jerry Thomas Speakeasy di Roma per la ricerca di spiriti storici e originali. Grazie a Bartender.it e agli eventi a tema organizzati, la comunità italiana sta sicuramente riscoprendo una sicurezza sulle proprie potenzialità. Ma Londra e New York sono sempre all’avanguardia. E anche Scandinavia e Asia stanno spingendo molto.Molti le idee le copiano. Quasi le clonano.
L’originalità è il punto più forte per dare un servizio unico. Bisogna pensare al servizio e alla qualità del prodotto con la stessa importanza.
Il mondo del bar ha un po’ di tabù.
Piace a tutti, ma nessuno vuole ammettere che esce ‘a bere’.
LUCA PICCHI DEL CAFE' REVOIRE
«Ultimamente si evita di esplorare un singolo (e grande) prodotto», dice Luca Picchi, bartender del Café Rivoire di Firenze, «Prendiamo ad esempio il Kir Royal o lo champagne. Pochi però sono veri mixologist. Allora, bisogna andare alla ricerca della semplicità: per esaltare ogni coadiuvante. E serve far ordine: ci sono tanti miscelati che hanno troppi spunti. Poca gente, come chi ha messo mano al Sailor Punch, ha fatto bene al settore».
E l’anno prossimo, cosa si berrà?
«Il 2015 sarà l’anno degli homemade e del molecolare. Anche se poi alla fine il cliente nella media non è così preparato. Ma dipende sempre dalla città, dipende chi hai davanti
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A cura di Matteo Cioffi
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