31 Marzo 2015
Cominciamo con gli aggettivi: meticoloso, esigente, rispettoso della tradizione. Curiosamente, il mondo del bere miscelato non rientrava nei progetti di Carmine Siciliano: «Studiavo giurisprudenza e per arrotondare decisi di lavorare in un pub. Non avrei mai immaginato una carriera da barman. La passione è esplosa quando un cliente mi ha detto: “Sai che il tuo drink è proprio buono!?”» racconta. «Era il 2002. Da allora ho capito che il mio futuro sarebbe stato dietro un bancone e mi sono impegnato per crescere e maturare». Oggi, a 31 anni, Carmine - Nino per gli amici- è un barman di successo, titolare da due anni e mezzo insieme a Domenico Casoria dello Speakeasy di Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli. Un bar di successo, frequentato tra gli altri dal guru partenopeo del mixology Alex Frezza, che si ispira per atmosfera e cura nei dettagli ai circoli americani con accesso segreto (gli speakeasy, appunto) in voga negli anni del proibizionismo, tra il 1920 e il 1930. Il bilancio? Più che positivo: «Nonostante il periodo complesso, l’attività è in costante crescita». La ricetta per avere successo in tempi di crisi? Un mix di abnegazione e di umiltà: soprattutto oggi che la crisi pesa sulla disponibilità di spesa per gestire in modo proficuo un bar è necessario rinnovarsi viaggiando. Nessuna scuola potrà mai insegnare il mestiere: si apprende sul campo. Dal teorico al pratico. I tuoi consigli? Prestate attenzione alle spese: è importante avere sempre un occhio vigile sugli incassi e mantenere una buona marginalità. Non strafate: meglio un lavoro semplice, ma perfetto. E ancora: fidelizzate il cliente puntando sull’ospitalità. Infine, ricordatevi che il locale si deve adattare alla clientela, senza mai snaturarsi e cercando sempre di diffondere la cultura del bere consapevole e di qualità. Che ruolo hanno le scuole di formazione specializzate? Le scuole forniscono le basi necessarie, nonché aiutano a sviluppare entusiasmo per la professione, elemento essenziale per avere successo. In assenza di passione, infatti, questo lavoro può risultare molto pesante. Tuttavia non basta seguire un corso: occorre continuare a studiare e ad aggiornarsi.
[caption id="attachment_74100" align="alignleft" width="300"] Lo Speakeasy Bar[/caption]
Per fidelizzare il cliente è utile organizzare serate a tema e degustazioni? In linea generale, senza dubbio: gli eventi rappresentano un elemento di fidelizzazione. Noi, però, abbiamo deciso di non organizzare serate: la nostra mission è offrire un ambiente semplice, rilassato, cordiale e armonioso. Social media e bar: un legame virtuoso? Usati con moderazione, i social media possono aiutare a rafforzare il legame con i clienti e a sostenere, allo stesso tempo, l’espansione del portafoglio. È innegabile che i social, insieme al web, abbiano contribuito a cambiare la percezione del nostro lavoro agli occhi di operatori e appassionati. Risultato? Oggi la nostra professione è apprezzata e valorizzata. Detto questo, a fare la differenza restano sempre il fattore umano e la qualità dei drink. Senza scordare che chi gestisce questi mezzi deve avere grande equilibrio: non condividiamo, per esempio, la strategia di creare continui eventi su Facebook. Come nascono i tuoi cocktail? Dall’osservazione dei gusti della clientela: ascolto l’avventore e cerco di accontentarlo nel migliore dei modi. Tra l’altro, credo che negli ultimi anni si sia alzato il livello medio di conoscenza dei clienti in tema di spirits: in tanti ormai padroneggiano le diverse marche e percepiscono le differenze tra un prodotto e l’altro. Quali sono i drink più richiesti al vostro Speakeasy? I classici: Americano, Negroni e Bellini. Inoltre, cresce la richiesta di cocktail a base di tequila e mezcal, probabilmente anche grazie alle campagne pubblicitarie di grande impatto. Inoltre, sempre più giovani chiedono il drink mostrandolo direttamente da una delle tante App dedicate al mixology, fenomeno evidentemente trainato dalla diffusione degli smartphone. Che ruolo ha la decorazione? È la ciliegina sulla torta, purché sia semplice, minuta, mai invadente. Oltre a stimolare la vista, deve enfatizzare il lato aromatico del drink. Ottimi, a questo fine, sono per esempio scorza di limone, spezie come zenzero e chiodi di garofano e anice stellato. Gli errori più comuni da evitare? Accostare prodotti monocordi: ovvero, solo dolci o solo secchi. E poi, esagerare con il numero di ingredienti e di distillati. Ci sarà un motivo se i grandi classici della miscelazione sono composti solo da due o tre ingredienti, o no? Capitolo food pairing. Secondo te è una moda o una tendenza destinata a sdoganare i cocktail anche fuori dagli orari di consumo canonici? Può affermarsi come costume in città come Milano e Torino. Nel Sud, e in particolare in provincia, il food pairing invece difficilmente diventerà un fenomeno di massa. Per abitudine, da Roma in giù, la cena si consuma a casa o al ristorante, tendenzialmente con del buon vino. I tuoi suggerimenti in tema di abbinamento cibo-drink? Gli abbinamenti si studiano per armonia o per contrasto. Per esempio, il Negroni si sposa bene con acciughe o tapas salate, la Vodka Sour con un plateau di frutti di mare freschi o con scampi abbinati ad ananas e il Mojito con un carpaccio di carne accompagnato da un’insalata condita con aceto balsamico. Come si riconosce il drink perfetto? Non esiste. Come dicevano i latini: «De gustibus non disputandum est». Sui gusti non si può discutere: ognuno ha i suoi, per quanto strani possano sembrare ad altri. L’ingrediente del 2014? Scommetto su tequila e mezcal. La ricetta: Tawhaki
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