10 Febbraio 2016
Ce li hanno raccontati come dei “bamboccioni”, attaccati alla gonna di mammà. E come degli schizzinosi, “choosy” e selettivi, nei confronti di qualsiasi attività lavorativa ritenuta indegna. E invece dobbiamo ricrederci, perché i Millennials (i giovani compresi tra i 8 e i 35 anni) si rivelano intraprendenti, fortemente motivati, stakanovisti, sobri, strenui fautori del proprio io, ma anche solidali e… accomodanti. Il loro è un universo tutto da scoprire. E da apprezzare, mettendo da parte pregiudizi e luoghi comuni. È quanto emerge dalla ricerca Vita da Millennials: web, new media, startup e molto altro. Nuovi soggetti della ripresa italiana alla prova realizzata dal Censis per il Padiglione Italia di Expo 2015. Il risultato è un identikit che spesso contraddice l’immaginario collettivo, per esempio per quanto riguarda il mercato del lavoro, in questi anni divenuto sempre più ostico e farraginoso. Pare infatti che rispetto ai più “anziani” Baby Boomers, i Millennials non solo non abbiano “la puzza sotto al naso”, ma siano addirittura più propensi ad accettare contratti brevi (meno di 1 mese), lavoretti saltuari, qualifiche inferiori alla propria formazione, impieghi al nero o stage non retribuiti e questo nonostante abbiano dei plus importanti: sono infatti la prima generazione realmente bilingue e nativa digitale. Decisamente più accomodanti, insomma, quasi camaleontici, sono disposti ad adeguarsi rapidamente all’evoluzione socio culturale dilagante. Lo dimostra ad esempio il fatto che il 41,1% di loro ha inserito il proprio curriculum su piattaforme web o sui social media, mentre tra gli adulti la percentuale si arresta al 12,4%.
Intraprendenza Davanti a un mercato ostico i Millennials non si sono arresi: quasi 32.000 nuove imprese nate nel secondo trimestre del 2015, infatti, fanno capo a un under 35, con una crescita del 3,6% rispetto al trimestre precedente. In altri termini, si può dire che si sono avute 300 imprese al giorno in più (weekend compresi). Una forte vitalità, dunque, trasversale a tutte le aree del Paese se anche nel Mezzogiorno il 40,6% delle attività nate nel trimestre è riconducibile a un giovane, con un tasso di crescita del 3,5% rispetto al trimestre precedente. I Millennials sono lavoratori indefessi: più di 3,8 milioni lavorano oltre l’orario formale (il 17,1% in più rispetto ai Baby Boomers). Di questi, 1,1 milioni lo ha fatto senza ricevere il pagamento degli straordinari (il 4% in più rispetto alla fascia di 35 -64 anni) e 1,7 milioni con una copertura economica solo saltuaria. A 1,1 milioni di Millennials capita di lavorare anche di notte, a quasi 3 milioni durante il weekend. Molti lavorano in remoto da casa e questo, anziché attenuare l’impegno, significa, al contrario, dilatare i tempi dedicati alle attività professionali.
Digital life I Millennials sono nati digitali: tra di loro, infatti, il 94% è utente di internet (la media è del 70,9%), l’87,3% è iscritto almeno a un social network (60,2% è il dato medio) l’84,7% utilizza lo smartphone sempre connesso in rete di contro al 52,8% dato medio. Per questo con loro l’e-commerce vola alto: il 61,4% (circa 6,8 milioni) dichiara di avere effettuato acquisti di almeno un prodotto o servizio sul web (tra i Baby Boomers, siamo invece intorno al 27,9%). E anche sul food i giovani sono più emancipati: l’acquisto di prodotti alimentari è stato infatti effettuato da 1,2 milioni di giovani pari al 10,8%, rispetto a un più risicato 5,4% tra i Baby Boomers.
L’IO, la sobrietà e la sharing economy I Millennials, credono nel proprio Io. Ma questo non vuol dire che siano egoisti: diciamo piuttosto che professano convinti un loro soggettivismo etico. L’io è considerato la misura di tutte le cose e quindi l’obiettivo precipuo è soddisfarlo, in linea con una nuova dimensione più sobria e contenuta. Ed è proprio questa nuova sobrietà che informa sempre più le loro scelte e i loro atteggiamenti di consumo. Nasce da qui il crescente successo della sharing economy. Condividere è ormai diventato normale: dall’auto all’appartamento, dalla tavola imbandita alla bicicletta (Uber, Airbnb, Gnammo, iBarter e via dicendo).
Cibo, cultura identità Nel sistema valoriale dei Millennials il cibo, e tutto ciò che vi ruota intorno, hanno assunto un ruolo di primo piano, testimoniato dalla fioritura di blog e piattaforme web dedicate al cibo, dalla miriade di start up nel settore della ristorazione e - non ultimodal ritorno all’agricoltura. Ma cosa amano i giovani del cibo? Innanzitutto il legame con il territorio: il 60% degli under 35 infatti ritiene che l’eccellenza del proprio territorio si concretizza nei prodotti alimentari locali a fronte del 47,5% della media nazionale. Mangiare è un fatto culturale e relazionale, molto più che un atto puramente funzionale (a dargli questa connotazione è infatti solo il 9,4%). Dal rapporto con ciò che si mette in tavola e proviene dai propri territori i giovani italiani, invece, traggono una propria coscienza identitaria. Ad ammetterlo è il 26,9% dei Millennials che si dichiara orgoglioso del proprio modo di mangiare. Il 23,9% definisce il rapporto con il cibo degli italiani divertente, perché mangiare fa parte del nostro modo di stare insieme e divertirsi, per il 20,5% è salutare. Naturalmente c’è una parte un po’ più distaccata che considera maniacale il rapporto con il cibo (11,3%) e l’atto del cibarsi, specialmente in confronto a paesi in cui essa svolge una funzione prettamente funzionale.
Cibo: un investimento Per i giovani il cibo è cultura: il 93% dei Millennials si dichiara coinvolto dal tema, il 53,5% è un appassionato, il 28,3% un intenditore e l’11,1% pensa a sé stesso come a un vero esperto. E in effetti il tempo investito in attività culinarie non è poco: sono 10,9 milioni i giovani che dichiarano di cucinare, 3,4 milioni lo fanno con regolarità e 5 milioni lo fanno spesso. Ed è attività che appassiona, attira, gratifica, taglia trasversalmente appartenenze di genere, sociali, territoriali. Sono 10 milioni i Millennials italiani che cucinano e a cui piace farlo: 4,2 milioni perché li appassiona, 2,6 milioni perché li rilassa e 2,7 milioni ai fornelli provano un senso di gratificazione. E questa passione per le preparazioni culinarie trova riscontro anche nella tendenza a preparare cibi fatti in casa come i dolci (88,1%), la pizza (83,6%), la pasta (67,8%) e il pane (37,2%). Quale cibo va per la maggiore? La cucina italiana rimane quella più praticata nel quotidiano (11,1 milioni di Millennials) seguita dalla cucina tipica dei territori (11 milioni), però anche “l’esotico” va bene: sono 8,7 milioni i Millennials italiani che dichiarano di mangiare piatti tipici di altri paesi europei (paella, crepes, ecc.); 7,7 milioni (1,8 milioni abitualmente) mangiano piatti etnici (guacamole, cous cous) e 10 milioni (di cui 3,3 milioni regolarmente) consumano piatti preparati secondo ricette nuove di cui hanno sentito parlare in tv e/o letto su riviste e/o su ricettari. Tra i cibi, in onore delle tipicità nazionali, vanno alla grande frutta (42,3%), verdura (36,9%), carne (42,5%) e pesce (41,5%).
Format Se poi parliamo della tipologia di ristorazione più in voga, notiamo immediatamente che i Millennials sono dei sobri politeisti, in grado di mixare con equilibrio stimoli diversi che spaziano dal fast allo slow food, passando per enclave territoriali come lo street food e senza mai disdegnare un ever green come la pizza. Fast food: vi mangiano 8 milioni di under 35, di cui 1,7 milioni abitualmente e 6,3 milioni di tanto in tanto (il 56,1% ed è il 34,3% il dato medio nazionale). Parlando invece di street fooder italiani con meno di 35 anni vediamo che sono 10,3 milioni (91,7%) di cui 5,2 milioni consumatori abituali (45,9%). 10 milioni di giovani mangiano piazza al taglio e 6 milioni patatine fritte e panini. Il Kebab è apprezzato da 5,4 milioni di giovani, il falafel da 2,2 milioni di consumatori under 35, l’hot dog e il take away asiatico da 3,9 milioni di Millennials italiani, mentre 2,5 milioni consumano noodles.
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