caffè
03 Maggio 2016Valigia in mano, molti baristi vogliono scoprire tutto sul caffè, tanto da prendere un aereo e affrontare un volo oltreoceano verso i paesi produttori. L’avventura segue il percorso del seme di caffè, dalla pianta alla lavorazione, fino all’assaggio in tazza, in un mondo spesso lontanissimo e sconosciuto. È ciò che ha organizzato l’associazione di matrice fiorentina Umami Area alla fine dello scorso anno: un viaggio formativo in Honduras, dedicato agli operatori del settore e agli amanti della bevanda, per vivere sulla propria pelle il lavoro nelle piantagioni centroamericane. Tra i tanti partecipanti, ben 15 baristi hanno colto l’opportunità dell’Umami Coffee Campus per vivere l’esperienza e approfondire le proprie conoscenze. Durante l’avventura ci sono state le visite alle cooperative di produttori e alle piantagioni in cui crescono varie tipologie di coffee, ma anche tanta pratica con la raccolta delle drupe (o ciliegie) di caffè nel culmine della maturazione, i processi di spolpatura, lavaggio e asciugatura dei chicchi e la loro selezione. «Venire a contatto con l’intera filiera produttiva del caffè, eleva il barista al pari di un sommelier del vino», riflette Andrej Godina, presidente dell’Umami Area. «Per noi italiani è molto facile conoscere il vino, la sua storia, così come visitare un vigneto e una cantina - dice -. Ecco, lo stesso può avvenire nel mondo del caffè, solo che è necessario prendere un aereo». Da “addetti all’espresso” possono quindi trasformarsi in “sommelier del caffè” e diventare professionisti con un background di conoscenze ed esperienze da trasferire al cliente finale.
UNA QUESTIONE DI CONSAPEVOLEZZA
«Visitare le piantagioni è sempre interessante. Si incontra un mondo nuovo e completamente diverso». Enrico Meschini, torrefattore e presidente dell’associazione Caffè Speciali Certificati, ha intrapreso molti viaggi nel corso della sua carriera e conosciuto svariate realtà nei paesi di produzione. «Per un torrefattore o un barista significa rendersi conto di ciò che rappresenta quel mondo. Toccare con mano e vedere con i propri occhi qual è e quant’è il lavoro che il seme del caffè necessita. È, prima di tutto, una questione di consapevolezza - prosegue Meschini - poi, quanto l’esperienza in piantagione serva alla professione dipende da ciascuno di noi». Insomma, non basta per diventare esperti ma accresce la consapevolezza e la conoscenza sul prodotto, contribuendo all’evoluzione culturale.
IN HONDURAS, A TU PER TU CON I PRODUTTORI
«Chi ha partecipato al campus aveva già seguito percorsi di formazione sul caffè, anche diversi e più o meno approfonditi; - racconta Godina - in alcuni casi, c’è stata la spinta di aziende del settore particolarmente attente alla qualità, dove la “vecchia generazione” ha vissuto una o più esperienze nelle terre dei caffè e, ora, stimola la nuova generazione a fare lo stesso». Per il barista passare dal banco della caffetteria ai luoghi in cui nasce, cresce e viene lavorato il chicco, ha un fascino unico. C’è l’emozione nel dare un morso al frutto, la drupa che contiene i due semi di caffè, e nello scoprire un gusto dolce simile a quello della comune ciliegia. Poi l’incontro con i coltivatori e le loro famiglie, che accompagnano l’ospite nella loro quotidianità, spesso difficile. «Per me il viaggio è stato un’esperienza formativa a 360°. Mi ha insegnato a dare più valore ad ogni singolo chicco di caffè perché in ognuno di questi ne riconosci il lavoro ed il sacrificio di uomini, donne e bambini» è una delle impressioni di Francesca Surano, barista e gestore del Caffè Cantù di Roma, che ha partecipato al campus honduregno accompagnata anche da Giorgia Farnetani, una delle giovani bariste che lavorano in caffetteria. «Rientrata al bar, ho avuto la possibilità di raccontare ai clienti la mia esperienza - afferma Francesca Surano - e di dare loro informazioni che io stessa, prima del campus, non avevo chiare. Ho sempre creduto che il cliente apprezzi il nostro impegno e la professionalità e che possa essere guidato dal barista nella valutazione della qualità del prodotto». Una valore che, nello specifico caso delle terre della regione Copàn in Honduras, emerge sin dall’origine, come sottolineato da un altro “esploratore”, Andrea Cremone. «Mi ha colpito vedere la qualità nel lavoro: in Honduras, per quanto possano mancare risorse, tutti mettono grande attenzione e cura in ogni fase della produzione e con l’obiettivo della migliore qualità di prodotto». «Finalmente ho visto e provato ciò che trovavo soltanto nei libri e in Rete» prosegue nel racconto Cremone, che ha affrontato il viaggio assieme a Matteo Caruso, con cui condivide il quotidiano lavoro al Bar Tazze Pazze di Genova. «Come barista e trainer specialty - che si dedica alla selezione e alla preparazione di singole origini pregiate - ho capito quanto la processatura influisca sul risultato finale. Più in generale - dice - nell’impiego di barista in caffetteria, sto più attento a non sprecare caffè, perché ora so quanto lavoro c’è dietro ad ogni chicco».
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