caffè
16 Maggio 2016Seoul a marzo fa ancora freddo. E il signor Kim lo sa, per questo si copre bene prima di affrontare la folla che anima le stazioni della metropolitana della capitale coreana. Con l’orologio in Corea non si scherza e il signor Kim lo sa, per questo i suoi tempi sono accuratamente calcolati. Lungo il suo tragitto è un fiorire di bar e il signor Kim lo sa e per questo i suoi tempi così ben stabiliti includono anche una sosta per regalarsi un piccolo piacere della mattina: un cappuccino italiano fatto come si deve. Il signor Kim salta almeno cinque locali diversi prima di imboccare senza esitazione la porta del bar dove viene accolto con gradevolissima cortesia coreana e dove ordina il suo cappuccino italiano. Di signor Kim la Corea ne è piena, ma di ipotetici signor Kim come il nostro, che dimostrano tanta affezione per il prodotto italiano, ce ne sono purtroppo ancora pochi. Sono molti di più quelli che invece imboccano la porta di un grande franchising locale o di una catena americana oppure che si buttano tra le braccia di ottimi caffè con accenti nordici. Il problema non è stare vicino ai signori Kim che hanno già deciso che le loro giornate devono iniziare con un cappuccino italiano, ma capire perché gli altri non gli concedono una chance. Non è che non gli piacciamo, anzi molti di loro comprano moda italiana, vino italiano e vengono pure in Italia a crogiolarsi nell’ammirazione delle nostre opere d’arte. Il punto è che probabilmente nelle loro iperattive giornate coreane non si accorgono della presenza di locali che offrono il nostro caffè. Il motivo è banale e risponde alla legge dei grandi numeri (o meglio di quelli piccoli): siamo troppo pochi per farci notare. Sulle ragioni della nostra ancora scarsa presenza su alcuni mercati che invece stanno crescendo a ritmi impressionanti (e non solo quello coreano), c’è naturalmente da riflettere. Ma a me pare che un punto focale sia il fatto che non siamo ancora riusciti a spendere appieno la nostra competenza presso gli operatori (per inciso il mondo del vino italiano è già un passo oltre in questo senso). Insomma viviamo nel paradosso che noi, creatori dell’espresso, non sempre siamo percepiti come la fonte preferenziale di informazione sul tema. l motivi? Molti sicuramente ma uno sopra tutti: siamo una fonte un po’ afona. Abbiamo la conoscenza di un vecchio saggio ma la capacità di condividerla di un bebè. Vogliamo tornare sexy? Iniziamo a raccontare e a mostrare per esempio la nostra idea di tostatura a testa alta, narriamo con forza la concezione di miscela per espresso italiano, spieghiamo con convinzione qual è la marcia in più del barista italiano. Parliamo a tutti, anche e soprattutto ai concorrenti e con i concorrenti. Non dobbiamo avere paura di svelarci al mondo: una maggiore informazione tecnica sul nostro espresso ne sosterrà la credibilità e il sex appeal. E forse al signor Kim si aggiungerà per un bel cappuccino all’italiana anche il signor Lee e il signor Huang e chissà quanti altri.
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori www.assaggiatoricaffe.org. Chi fosse interessato a contattare l’autore può farlo scrivendo a: carlo.odello@assaggiatori.com
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A cura di Rossella De Stefano
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