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10 Maggio 2016Non c’è bartender di successo che non ostenti con orgoglio i propri tatuaggi mentre prepara colorati ed elaborati drink sotto gli occhi attenti dei clienti.
[caption id="attachment_98677" align="alignleft" width="260"] Franco “Tucci” Ponti, barmanager dell’Atomic Bar di Milano[/caption]
E sono molti ormai anche gli chef che per vezzo o piacere mostrano senza vergogna i disegni sul proprio corpo. Sembra normale oggi, ma fino a non molto tempo fa i tatuaggi erano associati a marinai, carcerati e personaggi fuori dal comune. A partire dagli anni ’90, anche in Italia, i tattoo si sono conquistati una propria dignità culturale, al punto da essere considerati – in certi casi – vere e proprie opere d’arte. Tuttavia, fino a non molti anni fa, nel mondo del bere miscelato i tatuaggi erano solo tollerati, non cercati ed esibiti dietro ai banconi dei cocktail bar serali, con tanto di orgoglio del barman e di soddisfazione dei gestori.
TATUAGGI E BARTENDING
[caption id="attachment_98678" align="alignright" width="300"] Martina Cappetti, barlady del Mag e del 1930 di Milano[/caption]
Insomma, per la prima volta barman e barlady tatuati sono percepiti come elementi di richiamo e quindi apprezzati. Osserva Franco “Tucci” Ponti, quarantunenne barmanager dell’Atomic Bar di Milano e consulente per il nuovo Al Cortile, il temporary “bio restaurant” milanese di Food Genius Academy: «Negli ultimi anni i gestori dei locali serali preferiscono affidarsi a barman tatuati perché attirano maggiormente l’attenzione. Discorso diverso vale, invece, per bar diurni e di hotel di lusso, dove i tatuaggi in vista non sono tutt’oggi quasi mai consentiti». Il segnale che qualcosa stia cambiando, però, è nell’aria anche nel mondo degli alberghi a cinque stelle.
[caption id="attachment_98679" align="alignleft" width="165"] Nicola Scarnera, barman del Mag e Del 1930 di Milano[/caption]
«Ormai i tattoo piacciono a tutti, senza distinzione di professione o di ceto. Nel mondo della mixology, inoltre, sono diventati anche uno status. Ecco perché sono sempre più diffusi, non solo tra i barman dei locali di stampo hipster. Al Bulgari Hotel di Milano, per esempio, dall’anno scorso i tattoo sono ammessi. Certo, si tratta di una catena americana con un imprinting giovanile, ma è la spia di una tendenza in atto», afferma Nicola Scarnera, barman del Mag e del 1930 di Milano. Nato a Corato (Ba) 22 anni fa, Nico ha due tattoo: un bar spoon e il logo del 1930. E racconta: «La scelta dei disegni dipende essenzialmente da due ragioni: il gusto estetico e il significato. Il bar spoon, per esempio, mi ricorda una fase di crescita fondamentale nel mio approccio a questo mestiere». A proposito dei motivi, quali sono i tatuaggi più in voga nel mondo dei bartending? Risponde Martina Cappetti, barlady del Mag e del 1930 di Milano: «Difficile generalizzare, ma sicuramente vanno per la maggiore i disegni che evocano il nostro mestiere: gli strumenti di lavoro, il ritratto di Jerry Thomas, la coppetta Martini». Che altro aggiungere? Solo un suggerimento. È Filippo Sisti, barmanger al Carlo e Camilla in Segheria di Milano, a mettere in guardia: «Non tutti i gestori sono aperti nei confronti del tattoo. Quindi, al di là delle ragioni personali per cui ci si avvicina a questo mondo, è bene ricordarsi che tatuarsi è sempre rischioso e che non bisogna sottovalutarne le conseguenze. Un tatuaggio vistoso, per esempio, potrebbe precludere l’opportunità di lavorare, un giorno, in un determinato locale rigoroso in fatto di regole estetiche». Siamo d’accordo con Sisti. Il nostro consiglio? Tatuatevi, ma con moderazione e con un poco di furbizia. Come dicevano i latini, est modus in rebus. Disegni su viso, collo e nuca – per esempio – evitateli…
TATUAGGI E CHEF
[caption id="attachment_98680" align="alignright" width="260"] Filippo Sisti, barmanger al Carlo e Camilla In Segheria di Milano[/caption]
Per quanto riguarda il mondo della ristorazione, la situazione è un poco diversa. Su chef e camerieri i tatuaggi non sono considerati un valore aggiunto come avviene nei confronti dei bartender. Tuttavia, anche in questo settore i tattoo sono più tollerati di un tempo. «Quando ho iniziato a lavorare in cucina, ovvero una quindicina di anni fa, i tatuaggi erano ancora visti con diffidenza. Oggi invece restano banditi solo nei ristoranti di alta cucina e in quelli premiati con due o tre stelle, ma in generale sono più accettati. Certo, in sala occorre decoro e moderazione. Soprattutto se parliamo di ristoranti di alto livello. Così, per esempio, in un tre stelle
[caption id="attachment_98681" align="alignleft" width="150"] Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio[/caption]
Michelin non potrebbe lavorare un cameriere con il collo tatuato», osserva lo chef Diego Rossi, classe 1985, patron della trattoria Trippa a Milano. Io di tatuaggi ne ho tanti, ma non ho mai subito discriminazioni sul lavoro» tiene a precisare Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, tattoo ovunque (incluso uno sulle dita dedicato al fish and chips). Ma i tatuaggi sono una moda o un fenomeno di costume destinato a radicarsi nella nostra cultura? «Dipende. Il mondo del tatuaggio associato alla professione è un vezzo, una sorta di identificazione. Alcuni cuochi, per esempio, si sentono rassicurati dal disegno di coltelli, forchette, tarallucci et similia. E c’è persino chi si tatua il piatto di pasta sulla pancia. In questi casi, il tatuaggio è solo una moda legata al bisogno di appartenenza a un gruppo. I tatuaggi, per me, sono invece ricordi dei viaggi compiuti, incluse le esperienze dietro ai fornelli in Nuova Zelanda e Corea, tanto per citarne un paio», osserva Chef Rubio.
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