10 Gennaio 2023
“Stiamo percorrendo insieme questa strada della gastronomia che si unisce alla mixology, è semplicemente un cambio di prodotto dal solido al liquido e viceversa”. Parola di Marco Sacco, chef due stelle al Piccolo Lago di Verbania (e già vincitore di una stella con il ristorante Piano 35 all'interno del Grattacielo Intesa-San Paolo di Torino), dove la sua cucina si unisce alla mixology del figlio Simone. “Oggi in Italia il mondo della ristorazione da solo non sta più in piedi”, è la sua convinzione. Perché “tempo, formazione e stipendio devono viaggiare insieme, non possiamo più pensare che queste tre cose siano scollegate tra loro”.
Come si possono unire?
“Serve uno stipendio adeguato al costo della vita e tempo libero due giorni alla settimana. Ce l'hanno tutti, non stiamo chiedendo un extr. Stiamo chiedendo una vita normale anche perché gli altri giorni ti fai un mazzo incredibile ...”.
Parliamo della formazione
“Un’azienda deve dare delle prospettive al suo dipendente, la possibilità di raggiungere livelli superiori. Oggi cinque giovani chef che hanno iniziato come capo partita al Piccolo Lago gestiscono il gruppo Sacco [Piccolo Lago, Piano 35, Piccolo Lago eventi e il Verbano, ndr] con 125 dipendenti e 45 o più cuochi. Bisogna raccontare che cosa un’azienda pensa di fare nei prossimi anni e investire sulle persone. Allora ti sposano, crescono insieme a te e poi fanno loro. Non dimentichiamoci che siamo in Italia”.
In che senso?
“Siamo fortissimi, il Paese più bello al mondo: dovremmo abolire l’industria lasciando solo la moda e alcune altre cose, il resto lasciamolo fare a tedeschi e cinesi. Noi dobbiamo fare turismo, cultura e agricoltura”.
Ha avuto problemi col personale?
“Un po’ come tutti però poi devo dire che quando i ragazzi vengono a fare i colloqui e vedono un team che è lì da 5, 10, 15 anni pensano che probabilmente è un’azienda dove si sta bene”.
Avete cambiato gli orari d’apertura?
“Sì, a Torino il Piano35 potrebbe lavorare 7 giorni su 7, per 365 giorno l’anno, sempre pieno. Se lo facessimo con gli stipendi che diamo oggi, che sono aumentati del 35%, non staremmo in piedi. Il piatto non ti porta più l’economia per tenere aperto un ristorante. Quindi abbiamo pensato di dare tempo libero, non fare turni, chiudere due giorni: è più vantaggioso togliere il fatturato di due giorni e incassare meno ma avere meno dipendenti perché 7 giorni su 7 vuol dire avere il 20% in più di persone. Oggi in Italia il mondo della ristorazione non sta in piedi. Penso che la pizza Margherita in qualsiasi pizzeria che mette un pomodoro e un impasto decenti e una mozzarella che sia mozzarella tra poco costerà 25 euro. In futuro il mondo della ristorazione avrà uno stravolgimento incredibile”.
E allora che si fa?
“Noi stiamo quasi pensando di fare un centro di produzione, standardizzare una base, utilizzare meno cuochi nei punti vendita per andare ad ottimizzare un costo che potrebbe tenere in piedi il fatto che quel piatto tiene in piedi il concetto”.
Insomma, industrializzare l’artigianalità.
“Se rimaniamo artigiani non siamo McDonald’s ed è fondamentale se no manca l’esperienza, ma industrializzare l’artigianalità fino a un livello del 30-40, forse 50% potrebbe essere un passaggio nel futuro interessante”.
Il tutto con l’apporto della tecnologia ...
“Certo. Dobbiamo arrivare a industrializzare il processo di lavorazione della materia prima, poi la parte di artigianalità e quindi la libera interpretazione è libera nelle varie cucine. Ci vogliono pensiero, tecnologia, spazi di produzione adatti”.
Cosa ne pensi della tassa del 5% sulle mance?
“Ma meno male, non esiste tassare le mance in nessuna parte del mondo. Quest’anno il Verbano ha fatto fino a 30mila euro di mance col Pos e il 40% è andato allo Stato. Dove lo stato prende già i contributi dell’impresa. Se non cambia il cuneo fiscale penso ci sarà la prima rivoluzione in Italia”.
Che ne pensi del tetto al Pos, poi stornato dalla manovra?
“Basta con questo contante, se sparisse ci risolverebbe un sacco di problemi, è una scocciatura: per chi non fa nero e ha i dipendenti in regola. Eppure bisogna anche dire che il piatto non tiene in piedi il costo azienda di un dipendente. Io faccio pagare certi prezzi ma non tutti possono, e il mio cameriere costa come quello della pizzeria di sotto: se non gli desse una parte di nero quanto dovrebbe far pagare la pizza?”
La UE propone di eliminare l’usa e getta sugli imballaggi e incentivare il riuso...
“Anche al supermercato? Se è così va bene, se sparisce anche dalle merendine allora sono d’accordo, non se è tutto sulle spalle dei bar”.
Più in generale, come affrontate la questione sostenibilità?
“E' fantastico, ce l’hanno in bocca tutti e nessuno sa che cos’è. Sostenibilità è quello che fai perché conosci un pescatore che pesca un siluro, te lo dà e tu lo trasformi in un prodotto food. Un contadino di montagna che coltiva 8 ettari di patate in montagna e te le porta a settembre piccole, grandi, mangiate, storte, e tu te le porti in cucina, butti tutto sul tavolo e in 15 persone iniziamo a dividerle per tipologia di grandezza e forma e scartiamo quello che il vermicino si è mangiato: questa è sostenibilità. Se prendiamo le ciliegie a gennaio perché in Perù una comunità che vive di quello imballa le ciliegie e le carica su un aereo che le porta a Milano al mercato generale, per me quella non è sostenibilità, anche se aiutiamo una comunità in Perù a vivere”.
Un consiglio per chi vuole iniziare oggi a fare questo lavoro...
“Fatelo, ribellatevi, dovete chiudere contratti seri con aziende serie. Però venite a fare questo lavoro perché è il più bello che c’è, noi facciamo accoglienza la prima cosa nata in Italia. Fatelo, così facciamo la rivoluzione insieme”.
Trovate gli altri contributi della serie qui: Giovanni Porcu (Doppio Malto); Edoardo Maggiori (Filetteria); Francesco Bonazzi (Mag); Alex Frezza (L’Antiquario); Niccolò Caramiello e Stefano Rollo (Norah was Drunk); Zhang Le (Bon Wei); Sandra Ciciriello (142 Restaurant); Andrea Ribaldone (Borgo Egnazia, Roma Villa Pamphili, Portrait Milano).
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