caffè
19 Aprile 2017Troppo caro per le tasche dei clienti, da anni alle prese con la crisi? A buon mercato se rapportato al livello qualitativo offerto? Il prezzo della tazzina di caffè al bancone, ormai da tempo cristallizzato sulla soglia critica di un euro, continua a essere al centro di un vivace confronto tra gli operatori del settore. La polemica sull’opportunità di aumentare i listini infatti è tutt’altro che sedata. E proprio per questo, Lino Stoppani, presidente di Fipe – Federazione italiana pubblici esercizi, invita a fare chiarezza.
[caption id="attachment_121369" align="alignleft" width="218"] Lino Stoppani[/caption]
Qual è la posizione ufficiale di Fipe in merito al prezzo del caffè?
Un’associazione di categoria, in quanto tale, non può fornire indicazioni di prezzo. Farlo, rappresenterebbe un comportamento censurabile e sanzionabile ai sensi della legge sulla concorrenza. Fipe lascia quindi ai singoli operatori la definizione dei listini. Molto infatti cambia da esercizio a esercizio: numero di serving, costi generali, modalità di somministrazione, per fare solo alcuni esempi, rappresentano variabili in grado di incidere sullo scontrino. Posso comunque precisare che il prezzo dell’espresso non è condizionato da quello della materia prima: i 7 gr. di miscela che occorrono per una tazzina non possono infatti giustificare variazioni significative. Come valuta la possibilità di incrementi?
Credo che gli esercenti dovrebbero e potrebbero avere più coraggio. Il profitto deve essere l’obiettivo primario di un gestore, come di qualsiasi altro imprenditore. Non si tratta di mancanza di etica: solo così, infatti, è possibile remunerare il capitale, sostenere il rischio di impresa e, non ultimo, mettere in campo gli investimenti necessari a garantire il futuro dei locali. E solo così è ipotizzabile un ritorno positivo in termini di retribuzione del personale impiegato. A beneficio di tutto il settore Torno quindi a ripetere: penso ci voglia più coraggio. Del resto, per molti anni il costo dell’espresso al bar è stato legato a quello del quotidiano. Da tempo, però, non è più così. E questo deve fare riflettere i pubblici esercizi sulle loro politiche di prezzo.
In questa prospettiva, una maggiore articolazione dei listini può essere collegata alle diverse formule dei locali (bar/pizzerie/ristoranti) come pure alla loro diversa collocazione geografica (centro-periferia, nord-sud)?
La questione rimanda direttamente a quello che una volta si definiva con il termine di “gabbie salariali”. È certamente giusto che, anche nel caso del caffè, a costi di struttura e gestione dei bar differenti – penso al personale, alle utenze, alle locazioni – corrispondano differenti modulazioni di prezzi, così come del resto avviene già per molti altri prodotti. Tutto ruota infatti intorno alla sostenibilità del conto economico.
In questo scenario, è ormai imminente l’arrivo di Starbucks in Italia…
Su questo argomento va fatta una premessa: se l’ingresso di Starbucks non è avvenuto prima, è perché la catena ha considerato il mercato italiano molto competitivo. E questo nonostante l’insegna possa contare su un’offerta molto più strutturata rispetto al semplice caffè. Detto ciò, ben venga Starbucks: credo che la sua presenza aiuterà a fare educazione non solo in tema di caffè, ma anche in relazione ai valori aggiuntivi offerti dai locali, come l’accoglienza e il comfort.
Come dire, insomma, che sul tavolo non vi è la sola questione del prezzo; molto conta anche la professionalità di chi lavora dietro il bancone. In questo ambito, quali sono le iniziative suggerite e/o promosse da Fipe?
La professionalità è inderogabile perché spesso fa la differenza. Su questo tema, Fipe è naturalmente in prima linea con un nutrito portafoglio di iniziative. Tra queste, ricordo la Fipe Business School, nata per favorire la cultura imprenditoriale nel pubblico esercizio. Qui, infatti, oltre agli aspetti propri del mestiere, si approfondiscono anche materie di carattere gestionale.
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