22 Gennaio 2020

Cristiana Romito e l’importanza della sala

di Anna Muzio


Cristiana Romito e l’importanza della sala

[foto sopra di Barbara Santoro]

Il lato oscuro della ristorazione? È la sala. Perché compare sempre poco nelle recensioni di un locale ed è il percorso meno richiesto nelle scuole di formazione. Non ha trasmissioni televisive dedicate ed è giudicata dai giovani una carriera meno attraente rispetto al più mediatico chef. Spesso è invisibile, ma è cruciale e può decretare – a parità di cucina – il successo o l’insuccesso di un locale. Le guide magari si dimenticano di nominarla, ma fa guadagnare o perdere punti preziosi. Anche se oggi ci sono a disposizione, oltre alle tradizionali scuole alberghiere, anche i corsi di formazione professionale – Alma, Intrecci, Noi di sala – resta un aspetto trascurato. Il servizio perfetto è quasi impalpabile, sta nel dettaglio. Significa accorgersi all’accoglienza che uno dei commensali è mancino e fargli trovare l’apparecchiatura giusta. Lui magari non lo noterà, ma si troverà più a suo agio e ben disposto ad accogliere ciò che arriverà nel piatto. È ciò che è successo a un pranzo al Reale di Castel di Sangro, e ci ha assai colpito. Così ne abbiamo parlato con la General Manager Cristiana Romito. Premiata dalla Guida di Identità Golose nel 2012 come Miglior Maître d’Italia, dirige, affiancata dal sommelier Gianni Sinesi, la giovane equipe di sala del ristorante che vede in cucina il geniale fratello Niko. Il Reale è un gioiello a tre stelle in mezzo alle montagne abruzzesi, un’ora e 34 dall’aeroporto di Pescara e un’ora e 48 da quello di Napoli. Un viaggio non comodissimo insomma, ma che viene affrontato ogni giorno da gourmet dai cinque continenti. Un tre stelle Michelin insomma che aderisce perfettamente alla storica classificazione della “rossa” (vengono assegnate a una “cucina unica che vale un viaggio”). Niko certo è un grandissimo ma la grande donna che gli sta a fianco è Cristiana e noi, per una volta, ribaltiamo la prospettiva e dopo un’ottimo pranzo con un impeccabile servizio intervistiamo lei, per capire come si costruisce un servizio a tre stelle.

[caption id="attachment_168285" align="alignleft" width="200"] Foto: Brambilla Serrani[/caption]

CINQUE CONSIGLI PER CHI FA SALA
1. Tenere sempre a mente che l’accoglienza inizia dalla conoscenza
2. Considerare l’accoglienza come una destinazione
3. Avere il “senso” dell’ospitalità
4. Ricordarsi che la semplicità è una complessità smontata da tutti gli elementi inutili
5. Essere un gruppo ma allo stesso tempo essere se stessi

Tre stelle in mezzo all’Abruzzo, in sette anni, come avete fatto?
All’inizio, prima che arrivassero i riconoscimenti, è stato difficilissimo, i primi tempi a volte io e Niko chiudevamo presto perché non avevamo clienti. Sono stati anni complicati Culturalmente non c’era l’attenzione a questo tipo di cucina, eravamo in un paese di 700 abitanti. Però siamo andati avanti perché Casadonna e Il Reale erano il nostro grande progetto su cui investire. Oggi possiamo dire di avere avuto ragione nel portare avanti questa strada, che è e sarà sempre in continua evoluzione. L’importante è non demordere, se uno crede veramente a un progetto non deve mollare.

Dove hai studiato per imparare questo lavoro?
Sono un’autodidatta che si è lasciata guidare dall’istinto, studiando con attenzione casi e persone di successo in vari ambiti lavorativi. Mi piace dire di aver imparato il mestiere “da cliente” perché insieme a Niko ho visitato molti locali, oltre ad avere letto molto e avere lavorato duro. A differenza di quando ho iniziato io oggi però esistono delle scuole professionali molto valide che aiutano i ragazzi a formarsi e appassionarsi a questo mondo, come ad esempio Intrecci – Alta Formazione di Sala.

Qual è il rapporto tra cucina e sala?
La cucina è un percorso. Il primo contatto che ha l’ospite quando arriva però è con la sala. La sala può salvare una serata andata male in cucina, che può capitare perché in cucina ci sono esseri umani.

Come viene formato da voi il personale di sala?
Il modello di sala del Reale è piuttosto originale poiché al suo interno non esistono gerarchie precise ma la struttura è molto fluida: tutti sono attenti a tutto e basta un gioco di sguardi per trasmettersi le istruzioni. I ragazzi che arrivano fanno mesi di formazione con me, devono essere in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Saper spiegare la tecnica, la sensazione che lo chef vuole dare. Se un cliente dice che un piatto non piace spesso non significa che il piatto è sbagliato, ma che il cliente non conosce certi sapori, o aveva un’idea diversa. Nella descrizione del piatto è necessario far capire l’idea che gli sta dietro. Ma noi parliamo con gli ospiti di tutto, delle tecniche, di cultura – qui abbiamo grandissime opere d’arte – e dobbiamo conoscere le lingue per accogliere i clienti stranieri.

Che caratteristiche personali sono necessarie per fare una grande sala?
Il punto di partenza nell’arte dell’accoglienza consiste nell’essere dei buoni osservatori capaci di comprendere e conoscere la situazione. Il passo successivo è nel riuscire a personalizzare l’esperienza gastronomica del cliente, preparandolo e accompagnandolo dall’inizio alla fine del suo percorso. A chi inizia questo percorso oggi mi sento di dire di credere fortemente in ciò che fa e in ciò che vuole diventare: il duro lavoro ripaga sempre.

[caption id="" align="aligncenter" width="630"] "Il primo contatto che ha l'ospite quando arriva è con la sala. La sala può salvare una serata andata male in cucina" rivela Cristiana Romito (foto: Barbara Santoro)[/caption]

La sala migliore è spesso “invisibile”. Questo lato del tuo lavoro ti piace o a volte ti pesa?
La cultura, la preparazione, l’attenzione e la capacità di osservazione credo che siano i  cardini fondamentali richiesti per svolgere al meglio il lavoro in sala: l’arte è proprio far sì che il cliente non se ne renda conto. Si può forse definire come un’invisibilità mediatica – su cui ancora bisogna lavorare – ma non per questo la si può ritenere di minore importanza nell’esperienza della ristorazione o come qualcosa da contrastare. Io in tutto questo cerco semplicemente di fare il mio lavoro al meglio.

Certo al vostro livello occorre davvero una marcia in più.
Se c’è passione la sala può trasformare anche un ristorante meno blasonato. Ogni piccola attenzione fa piacere al cliente. Le sfumature, l’attenzione, la sala è fatta di questo.

Ultima domanda: qui avete una scuola di cucina, hai mai pensato di fare una scuola anche per la sala?
Tantissimi mi chiamano pensando che già la faccia. Ci stiamo pensando, magari in futuro…

L'impero abruzzese dei fratelli Romito 

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