bevande
16 Aprile 2020Alla categoria dei soft drink appartiene una vasta serie di bevande che hanno in comune fra loro alcune caratteristiche di base: sono a base di acqua (gassata o no), con l’aggiunta di aromi, succhi di frutta o estratti, e sono privi di alcol. Si tratta di una lunghissima varietà di prodotti che vanno da limonate a cola, da acque toniche ad aranciate, da tè o caffè (freddi) confezionati sino a bevande proposte come energizzanti, stimolanti, drenanti, reidratanti, rilassanti e così via. Un campo davvero esteso, per proposte commerciali che fanno presa specialmente (ma non solo) sul pubblico giovane e su un’idea di consumo più “leggera” e “friendly”: ciò giustifica il grandissimo successo dei soft drink che, quindi, sono più volte finiti nelle attenzioni di chi si occupa di salute, oltre che in quelle di chi produce e propone queste bevande. Facciamo chiarezza sul settore parlando con il medico e nutrizionista Carlo Casamassima, grande esperto in materia.
Se in passato non vi erano grosse limitazioni rispetto all’uso dei soft drink, ora le indicazioni di medici e nutrizionisti è di non abusare di questo genere di bevande. La sensazione è che, al di là di quei soggetti ove questa indicazione è pressoché obbligata, vi sia una eccessiva demonizzazione di questi piccoli piaceri che – con moderazione – ci si potrebbe concedere. Da medico, che opinione ha rispetto a questi prodotti?
In effetti in passato non si erano avanzate grosse perplessità sull’uso dei soft drink: il consumo era relativamente limitato e, probabilmente, una minore disponibilità economica da parte della grande massa degli utenti – reali o potenziali – ne costituivano fattori di moderazione all’uso. Ciò non toglie che bottiglie di aranciate e cola ci sono sempre state nelle ‘tavolate’, nelle festività o nelle uscite fuori porta degli italiani. I consigli relativi al non abusarne nascevano più da una concezione “morigerata” della vita che non da consapevolezze scientifiche. Col tempo, invece, e con l’aumento della fruizione, si è fatta strada l’idea di diventare più consapevoli sull’argomento, valutando i possibili rischi e tendendo quindi a scoraggiare un esagerato consumo di “bibite. Siamo un popolo molto soggetto a patologie da alimentazione eccessiva e quelle bevande potrebbero avere – in alcuni casi – un ruolo negativo sulla salute. Tutti però si sono fatti più attenti (industria compresa). Segno che il fascino di quelle bevande è molto forte ed è sbagliato affidare il messaggio della buona salute alla semplicistica demonizzazione dei prodotti.
Da tenere in considerazione lo sforzo che le aziende del settore stanno affrontando proprio per venire incontro a queste mutate esigenze dei consumatori. Ecco quindi le nuove bevande senza zuccheri aggiunti, zero calorie, oppure con impiego di sostanze come la stevia. Cosa possiamo dire di queste new entry?
La richiesta di qualità, e la necessità di migliorarsi, hanno spinto l’industria a proporre soft drink di tantissime tipologie, che però – e inevitabilmente – si indirizzano, e si indirizzeranno, sempre più verso alcuni punti cardinali, incontrando alcune giuste esigenze di fondo. Innanzitutto quella di ridurre o limitare – o in qualche caso – evitare zuccheri e/o zuccheri aggiunti. Siamo un Paese con un’alta incidenza di obesità e diabete, in cui sovrappeso, sindrome metabolica e dislipidemie, portano un carico di responsabilità di grande importanza per la nascita o l’aggravamento di questi quadri patologici: ridurre la quantità di zuccheri nelle bevande “di compagnia” è certamente un atto di maturità sia di chi produce e distribuisce sia di chi sceglie e consuma. Meno zucchero significa poi anche meno calorie, e ridurre le calorie può davvero avere un significato forte per la nostra salute nel complesso. In questo senso, e per rispondere al quesito, la stevia, che si estrae da una pianta originaria dall’America del Sud e possiede una buona capacità di dolcificazione insieme a un ridotto carico di zuccheri “diabetogeni”, può costituire una possibilità in più per il consumatore: a patto di non abusarne.
[caption id="attachment_172988" align="aligncenter" width="640"] Il consumatore sceglie profumi e gusti in grado di far viaggiare palato e fantasia ma con attenzione alla salute[/caption]
Se sono un soggetto a rischio, posso concedermi ogni tanto un soft drink, magari facendo attenzione a prenderne uno senza zuccheri aggiunti?
Chi ha il problema di soffrire di determinate patologie deve poter vivere una vita quanto più possibile normale: negare, colpevolizzare, vietare, senza fornire soluzioni gradevoli e gradite è un grande errore. Demonizzare alcuni alimenti può significare non solo creare un vero muro rispetto al soggetto (a rischio o no, perché la vita è fatta anche di piccoli grandi piaceri e un drink certamente lo è), ma anche un muro del soggetto verso il mondo perché negarsi quel drink può significare molto in termini di vita sociale e relazionale. La strada deve essere quella non di negare bensì di scegliere: e in questo senso il mercato, oggi, ci offre davvero tanto. Se siamo a rischio prendiamo un drink con dolcificanti non iperglicemizzanti o un prodotto in cui gli zuccheri siano addirittura assenti. Magari parliamone con chi è dietro il bancone a servirci, il quale dovrebbe sempre più sviluppare quelle consapevolezze che si rendono necessarie in un mercato che cambia e si articola sempre più.
Molti non sanno che diverse aziende specializzate in succhi di frutta hanno immesso sul mercato succhi 100% frutta. In questo caso, quale l’atteggiamento anche rispetto al consumo di queste bevande da parte dei più piccoli?
Ottima cosa che si tenda progressivamente alla riduzione dei carboidrati semplici aggiunti a un alimento – quale è ad esempio il succo di frutta – che già è fornito di un proprio carico di zuccheri assolutamente non indifferente: il fruttosio contenuto nella frutta (e quindi nei succhi di frutta) è uno zucchero con altissime caratteristiche dolcificanti e grandi capacità caloriche. Basterebbe quel fruttosio, per garantire un prodotto buono, saporito e anche energetico. La possibilità di un succo di frutta ricco di “vera frutta”, è una spinta intelligente verso la qualità e verso la riduzione di zuccheri aggiunti: ideale innanzitutto per i bambini che amano poco la frutta tradizionale e per i quali un succo di frutta di qualità può rappresentare una stimolante occasione per il palato.
Il biologico sta crescendo e sono tanti i consumatori che si rivolgono a queste categorie di prodotti. Una bella opportunità per chi vuole la garanzia di un prodotto genuino al 100%. È davvero una opportunità?
Credo di sì: il biologico in pochi anni si è conquistato una importante fetta di mercato e ha costituito la risposta a un pubblico esigente: quello che non vuole sconti sulla qualità e la tracciabilità di ciò che porta alla bocca. Un pubblico che si è allargato a macchia d’olio e che ha positivamente “contaminato” con le proprie esigenze, anche quella grande massa meno critica di utenti che oggi però vede con piacere la possibilità di consumare un pasto – o un drink – avendo a mente la necessità di un carico chimico meno impattante, o anche solo la possibilità di far riferimento a una produzione di filiera qualitativamente elevata e certificata. Dobbiamo immaginare che col tempo le produzioni avranno sempre più caratteristiche simili a quelle del bio per il semplice motivo che il mercato richiederà sempre più prodotti che, con le garanzie della tracciabilità e della qualità, possano garantire di essere davvero “amici” della salute e non potenziali fonti di problemi e pericoli.
E poi ci sono le acque funzionali, che hanno il vantaggio di avere poteri drenanti e reidratanti. Cosa ne pensa in merito?
Le acque “funzionali” promettono capacità di reidratazione, energizzazione, depurazione, tonificazione, antiossidazione e tanto altro. Difficile che dietro tutte quelle prospettive ci sia sempre un reale risultato. Ma non ci interessa. Bere acqua funzionale può favorire un maggiore consumo di acqua, la qual cosa può anche rappresentare un buon traguardo.
Poi ci sono le bibite vegan, senza conservanti e coloranti…
Le bibite “vegan” sono un’ulteriore articolazione delle nuove proposte “del bere” e rispondono a una delle utenze più severe, quella dei vegani. I componenti di questi drink sono tutti di provenienza vegetale e di certo possono rappresentare uno stimolo interessante che mi sentirei di proporre per la fruizione di tutti e non solo dei vegani.
Parliamo anche di materie prime: aloe, cocco, mirto o, anche tè bianco, nero, indiano. Insomma, c’è qualche prodotto che ha caratteristiche organolettiche davvero interessanti da segnalare?
Sono tutte “materie prime” che hanno interessanti qualità organolettiche (legate alla loro origine vegetale) e grandi capacità di suggestione e di fascinazione (legate spesso alla loro origine geografica e culturale). Probabilmente, ci si attende a volte troppo in termini di ricadute salutari da questi drink mentre sarebbe il caso di ridimensionare talune aspettative e gustare semmai di più il grande carico di buoni sapori e ottimi profumi che queste bevande “naturali” possono regalarci. Bere bene stando in compagnia o regalando a se stessi un momento di tregua, è un privilegio al quale dovremmo accostarci senza richiedere troppo alla bevanda che assaporiamo: farlo evitando bevande senza zuccheri aggiunti, senza alcool, senza conservanti e coloranti, ma scegliendo profumi e gusti che ci facciano viaggiare con il palato e con la fantasia è uno dei grandi meriti di queste bevande dalle quali pretendere qualità, tracciabilità, gusto e suggestioni.
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