pubblici esercizi
16 Maggio 2020L’effetto coronavirus potrebbe generare un vero e proprio tsunami: c’è chi parla di 50mila chiusure, o meglio, non riaperture, nel pubblico esercizio. Basta questo dato a dare la misura dell’impatto che la serrata del canale horeca rischia di avere a crisi superata. «Se si avvereranno le previsioni più ottimistiche di Prometeia e a maggio potremmo avviare una ripresa lenta e selettiva – afferma il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani – il sistema Italia lascerà sul terreno almeno 4 punti di Pil e con un calo di consumi di 52 miliardi di euro, rischiando la chiusura di un’impresa su dieci. Se basteranno 4 o 5 mesi per ripristinare la normalità. Solo a fine ottobre si potranno fare i conti dei danni subiti. E in questo quadro, non vi è dubbio purtroppo che il fuori casa e il turismo con il suo indotto pagheranno un prezzo altissimo, il prezzo più alto tra i settori economici del Paese».
LE RICHIESTE ALLE ISTITUZIONI
Inutile nasconderlo, dunque, la situazione è critica. E richiede azioni tempestive. «Siamo consapevoli dell’urgenza – continua Stoppani –: Fipe è infatti impegnata in una corsa contro il tempo per concordare con il Governo interventi per mettere in sicurezza quante più aziende possibile. Tante richieste per il settore erano in realtà già state valutate e fatte rientrare, grazie all’azione congiunta con Confcommercio, nel D.L.“Cura Italia”: penso all’estensione degli ammortizzatori sociali anche alle imprese con meno di 15 dipendenti, al differimento delle prime scadenze fiscali e contributive spostate almeno al 30 settembre e con dilazioni di 24 mesi, al rafforzamento con 1 miliardo della dotazione del Fondo Centrale di Garanzia per il credito, con un incremento della garanzia pubblica all’80% del prestito, che arriva al 90% con la contro-garanzia. Ora siamo concentrati sull’annunciato Decreto Legge di Aprile, affinché si rafforzino le misure a sostegno della liquidità delle imprese. E questo su due fronti. Il primo è quello della “moratoria fiscale”, e del ristoro ovvero dell’indennizzo a favore di chi ha subìto cadute di fatturato e danni. Il secondo, invece corrisponde all’impulso all’erogazione del credito e al riconoscimento sul piano delle relazioni commerciali e dei rapporti contrattuali della conseguenza dell’epidemia Covid-19 come “causa di forza maggiore”. Sotto questo cappello, rientrano voci nevralgiche per la sopravvivenza di molti operatori: penso alla moratoria delle utenze di luce e gas, alla sospensione dei mutui, ma anche al blocco degli sfratti per morosità, perché in molti potrebbero non pagare gli affitti per mancanza di ricavi in questo periodo. Nell’agenda poi non possono mancare altri interventi sul terreno sociale e della difesa del lavoro, dipendente e autonomo». Ma occorre anche non perdere di vista ciò che si prospetta al termine del periodo emergenziale. «Con realismo – sostiene Stoppani – sappiamo che qualsiasi contributo pubblico non compenserà mai integralmente i danni – cessanti ed emergenti – scaricati sulle imprese; così come siamo consci che il ritorno alla piena normalità richiederà tempi medio/lunghi, soprattutto nel settore dei Pubblici Esercizi, destinato probabilmente ad essere tra gli ultimi a riaprire. Lavoriamo, però, per ripartire e per questo serviranno nuove più semplici regole, politiche innovative, risorse a sostegno di buoni investimenti mirati a dare impulso alla domanda. Mario Draghi ha detto con una frase molto ripresa che “i costi dell’esitazione potrebbero essere irreversibili”. Una grande verità, come quella, peraltro, che non ci sarà più il futuro di una volta. Saremo costretti, con un paradosso temporale, a inventarci un futuro che solo qualche settimana non esisteva».
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A cura di Matteo Cioffi
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