24 Dicembre 2020
“La scienza e la tecnologia lavorano insieme per migliorare gli alimenti in ottica di qualità, sicurezza e benessere”. Con questa frase Massimo Artorige Giubilesi, CEO Giubilesi & Associati, Presidente FCSI Italia e dell’Ordine dei Tecnologi Alimentari Lombardia e Liguria, ha aperto un convegno sulle nuove tecnologie a disposizione della ristorazione, che si è tenuto nell’ambito della scorsa edizione di Host. Le nuove tecnologie permettono infatti agli chef di garantire la sicurezza alimentare e il valore nutrizionale degli alimenti, soddisfare le nuove esigenze dei clienti e migliorare l’organizzazione della cucina professionale. Tecnologi Alimentari e Chef rappresentano un binomio fondamentale per la salute e il benessere dei consumatori. “La sicurezza e il valore nutrizionale – ha sottolineato Giorgio Donegani, Tecnologo Alimentare, Esperto di nutrizione ed educazione alimentare, Consigliere OTA Lombardia e Liguria - sono due aspetti imprescindibili nel dibattito sul rapporto dell’uomo con l’alimentazione. E, nell’ambito della ristorazione, si presentano quando c’è un’organizzazione funzionale delle aree produttive, gestite in maniera efficiente. Le nuove tecnologie facilitano questo aspetto. La tecnologia, che spesso è vista come un minus, rappresenta invece un plus”. Oltre a questi due aspetti, ce n’è un altro che è diventato di attualità negli ultimi tempi: l’attenzione allo spreco di cibo, un tema che riguarda anche la ristorazione perché sprecare è antieconomico. “Trovo però – ha sottolineato Donegani – che questo problema sia inteso in senso riduttivo. Ci si concentra, infatti, sul cibo che finisce nella spazzatura, senza valutare l’essenza del cibo dal punto di vista nutritivo. Se non si cucina pensando a preservare il contenuto dell’alimento (vitamine, minerali…) si spreca, anche senza buttare. Butterò vitamine, minerali… Oltretutto se un cibo ha un ottimo valore nutritivo, ne basta anche meno”.
DALLA PREPARAZIONE ALLA COTTURA
I momenti in cui si può verificare questo spreco qualitativo sono tre: la conservazione, la preparazione, la cottura. In fase di conservazione, i “nemici” del contenuto nutrizionale sono il tempo, la temperatura, la luce, l’umidità, l’ossigeno dell’aria. “Questi fattori – ha spiegato Donegani - portano al decadimento di alcuni principi nutritivi, in particolare grassi, vitamine e proteine. Generano reazioni enzimatiche, ossidative o danni strutturali, come quello da gelo nella frutta”. La preparazione è una fase fondamentale. Il taglio della verdura infatti, incide molto sul mantenimento dei nutrienti: una lama affilata taglia cellule e tessuti e non li lacera. “Durante la mondatura – ha sottolineato – bisogna rivalutare tradizioni tramandate nel tempo che nel passato avevano ragione di essere per motivi igienici, ma che oggi non hanno più senso. Per esempio consiglio di non scartare la buccia delle patate perchè concentra il caiapo, una sostanza fortemente ipoglicemizzante”. Nel lavaggio occorre prendere spunto dalle pratiche adottare dall’industria della IV gamma, limitando al minimo l’ammollo, che solubilizza molti nutrienti, a favore di un’azione meccanica che non danneggia i tessuti ma garantisce pulizia profonda. La cottura è un altro punto nodale. “Oggi il crudismo è tornato di moda – ha raccontato Donegani – ma non va sempre bene. La cottura agisce in maniera importante su alcuni principi nutritivi, non solo per gli aspetti igienici. Per esempio, sono poche le proteine che non migliorano la loro digeribilità quando vengono cotte. La cottura ideale è quella che agisce sulla superficie dell’alimento rendendola “impermeabile” perché mantiene i succhi e i nutrienti all’interno”. Tra i principali metodi di cottura, quella a calore umido in acqua ha il problema della solubilizzazione e dispersione dei nutrienti. “La cottura a pressione o a vapore – ha precisato – sono meglio della bollitura, ma questa tecnica è quella che conserva meglio gli omega 3 nel pesce. Questo insegna che nello scegliere la tecnica dobbiamo valutare l’alimento anche in funzione della sua composizione nutrizionale”. La cottura a secco, in forno o per contatto diretto (piastra, brace…) ha il vantaggio di impermeabilizzare la superficie, ma può presentare problemi tossicologici legati alla formazione di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e di Ammine Eterocicliche. “Basta però una marinatura in olio prima di porre carne o pesce sulla piastra – ha spiegato Donegani - per ridurre notevolmente la formazione di ammine eterocicliche”. Due cotture a torto bistrattate hanno invece delle valenze interessanti: la cottura a microonde produce lo stesso risultato della bollitura, ma senza perdita di costituenti, grazie ai brevi tempi di cottura. “In particolare - ha rimarcato – si riduce del 20-30% la perdita di Vitamina C e si mantiene l’acido folico. La frittura, invece, favorisce la formazione di una crosta superficiale che impedisce la fuoriuscita dei nutrienti e si oppone anche alla penetrazione dei grassi”.
LA TECNOLOGIA PER OTTIMIZZARE I PROCESSI
Le tecniche, più o meno evolute, sono tante, ma per garantire che la cottura avvenga in regime di qualità e sicurezza bisogna garantire il corretto rapporto tra tempo di cottura e temperatura. “La tecnologia è di grande aiuto – ha spiegato Giubilesi – per esempio i forni più moderni sono dotati di sonde che governano i parametri di cottura (tempo, temperatura, umidità) e possono modificare la funzionalità del forno, permettendo anche di impostare diverse zone in funzione dell’alimento che si sta cucinando. Le cotture “intelligenti e sostenibili” consentono di ridurre il calo peso, il cibo resta più succulento e ricco di nutrienti, la cottura è omogenea in tutte le parti del prodotto. Oltre alla cottura è importante anche il raffreddamento rapido, tanto più che si lavora spesso in anticipo rispetto al servizio”. Tra le nuove tecnologie di cottura figura quella in sottovuoto a bassa densità di calore. “Possiede elevate potenzialità - ha affermato Giubilesi – non ancora espresse nella ristorazione commerciale e collettiva, che possono garantire sicurezza dei processi, qualità dei prodotti, economicità della gestione. È una tecnologia facile da governare, perché è ripetibile e riproducibile e necessita un addestramento semplice per gli addetti, attrezzature evolute e programmabili, prodotti e materiali selezionati, procedure di monitoraggio. Il confezionamento sottovuoto permette di raggiungere una conservabilità anche di 60-70 giorni, validata sotto il profilo microbiologico, chimico-fisico, sensoriale. Se la cottura sottovuoto si effettua in monoporzioni, si possono di realizzare pasti speciali anche per soggetti allergici e intolleranti (alimenti protetti condizionati), garantendo la pianificazione del sistema di approvvigionamento, di rotazione delle scorte e del lavoro”. Ci sono poi la cottura a pressione e la vasocottura (praticamente un sottovuoto in vetro). “Con questi metodi – ha proseguito Giubilesi – si innalzano le temperature e si riducono i tempi di cottura, aumentando quelli di conservazione. L’assenza di ossigeno, ottenuta con il sottovuoto ma anche dovuta alla fuoriuscita d’aria derivata dalla pressione interna che sviluppa il calore, blocca gli enzimi e inibisce lo sviluppo di batteri aerobi, mantenendo intatto il profilo nutrizionale e sensoriale del prodotto. Le temperature variano tra 90 e 120°C al cuore del prodotto, con pressione interna di 1,2 bar. Dopo la cottura deve seguire un abbattimento rapido di temperatura (acqua fredda e poi aria fredda) per prolungare la “shelf life” del prodotto a temperatura ambiente sino a 12 mesi”. In cottura possono essere addizionate delle sostanze per migliorarne gli effetti. Per esempio, il sale marino iodato fino bilanciato con zucchero (semolato e di canna) e unito ad erbe aromatiche e spezie. “Serve a controllare la pressione osmotica – ha spiegato Giubilesi – a ridurre l’acqua libera a disposizione dei microrganismi, aumentare la succulenza e la morbidezza a rendere il profilo sensoriale più rotondo e personalizzato e a mantenere i colori più brillanti nel tempo”. Per la conservazione degli ingredienti, invece, può essere usata la cosiddetta bioprotezione, ovvero l’aggiunta di conservanti e antiossidanti vegetali naturali (spezie, erbe aromatiche, piante officinali, agrumi, tè, curcuma) che uniscono all’azione positiva sulla conservabilità del prodotto anche un profilo organolettico compatibile o addirittura migliorativo del prodotto stesso. “A seconda delle tecnologie applicate – ha concluso Giubilesi - anche nella cucina di un ristorante la shelf life di un alimento può aumentare molto. È ovvio però che il processo deve essere validato per verificare l’effettiva conservabilità di un alimento trattato in un determinato modo. I prodotti preparati e conservati vanno identificati e tracciati in maniera chiara, con indicato giorno o lotto di produzione, limite della data di utilizzo (scadenza) e istruzioni per la conservazione”.
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A cura di Matteo Cioffi
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