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18 Dicembre 2020Partiamo dalle origini. Quando hai capito che il tuo futuro sarebbe stato dietro a un bancone?
Ero assistente alla poltrona dentistica quando una disavventura con un cliente maleducato mi ha messo in discussione. Nel mentre mi ero già affacciata al mondo del bar. Decisi di cambiare strada. E ho iniziato dal basso: lavando tazzine e bicchieri e servendo ai tavoli.
Che cosa ami della professione di barlady e che cosa hai imparato a sopportare?
Per carattere, amo le sfide ma mi stanco in fretta delle situazioni. Ora, nel mondo dei cocktail bar le donne sono ancora viste con pregiudizio. Di fatto, sei costantemente sotto pressione perché devi dimostrare quanto vali. Ecco, a me piace dimostrare che si sbagliano, ma è molto faticoso essere sempre in tensione.
Federica Geirola, definisci il tuo stile di miscelazione e il tuo tratto particolare.
Ho un approccio imprenditoriale. Mi spiego: credo che il bartender dovrebbe avere tra le proprie mission la vendita. Bisogna spronare al consumo responsabile di drink, il che vuol dire puntare su low alcol, senza scordare i cocktail analcolici. Questo permette di invitare i clienti a farsi un secondo giro...
E quando hai deciso di investire più tempo sui social per accrescere la tua notorietà?
Merito di un incidente. Ho passato mesi a letto, per problemi alla schiena. Insomma, più che una scelta è stata una conseguenza naturale. Passavo molto tempo sui social e quando un mio video è diventato virale ho iniziato a capire le potenzialità di questi strumenti e ad applicarmici.
Ti hanno definita la Chiara Ferragni della mixology. Il paragone ti gratifica o ti sta stretto? Perché?
Mi gratifica, senza dubbio! Chiara è stata bravissima a muoversi nel mondo social e a creare una professione che prima non esisteva. Non solo, è stata molto brava anche nel gestire le proprie emozioni. Ribadisco, non è facile mantenere la calma in certe situazioni o nascondere l'umana malinconia. C'è una sua frase che apprezzo in particolare.
Sarebbe?
"Non volevo diventare famosa, non era questo il mio obiettivo. Semplicemente, volevo fare qualcosa che avesse un senso". Ecco, è opinabile. Ma mi ha fatto riflettere sulla mia vera mission: migliorarmi come donna, non essere la migliore.
Hai un look e uno stile molto personale. Quanto contano immagine e bellezza per una barlady che voglia emergere anche sui social?
Contano assai, diciamolo! Basti pensare che mettiamo i filtri sui tramonti. Il mio stile in effetti è molto personale. Sono passata dalle bretelle al papillon slacciato e fusciacca indossando uno smoking. Insomma, mi piace andare oltre gli stereotipi e suscitare un mix di stupore e scalpore. E non mi interessano eventuali critiche.
Quanto tempo dedichi ai social media ogni giorno? Ti fai aiutare da qualcuno?
Premesso che lavoro tutti i giorni come barlady, dpcm permettendo, comunque rispondo tutti i giorni alle domande e ai commenti che ricevo. Spesso, poi, mi dedico alle dirette che permettono un rapporto diretto e creano fidelizzazione. Non mi faccio aiutare da nessuno, però. Risultato? Passo tra le 4 e le 5 ore al giorno sullo smartphone.
Quali social media sono più efficaci oggi?
Lo sono tutti, dipende dagli obbiettivi e da come sono usati.
Consigli?
Primo, dovete essere sinceri e veri. Mostrate parte della vostra quotidianità e della vostra crescita. Secondo, pensate bene i post e puntate sulla creatività. Terzo, prendete spunto da chi fa meglio di voi.
Capitolo haters: qualche aneddoto?
Uno dei momenti più difficili è stato quando, a pochi minuti dall'inizio del mio stage in un'azienda importante, mi è arrivata una notifica su Instagram da cui risultava che qualcuno avesse creato un profilo inserendo solo una mia foto e come caption, in un inglese nemmeno da scuola elementare, mi screditava definendomi una "vergogna" a livello umano e professionale. Lo ammetto, è stata dura salire sul palco con il sorriso. Ai miei followers lo dico sempre, non fermatevi all'apparenza delle persone, non attaccatele con superficialità. Ho denunciato spesso sui social il cyber-bullismo che danneggia anche la salute mentale. E ho avuto il supporto di Veronica Civiero, attualmente Global Solutions Manager di Facebook, che stimo davvero molto. Per farla breve, per me è un vero punto di riferimento.
Dal punto di vista personale, hai dovuto sacrificare molto l'amore per la carriera o no?
Moltissimo. Non solo lavoro di notte, ma spesso viaggio per lavoro di giorno. Ho trascurato amore e amici, lo so. E ne ho pochi, ma sono sinceri e comprensivi. Non mi fanno pesare la mia assenza. Ed è una grande fortuna. Un enorme supporto dal punto di vista psicologico.
Il tuo punto di forza e il tuo tallone d'Achille?
Mi sento forte a livello di comunicazione, carisma e padronanza di spazi e tempi.
Ma pecco di testardaggine.
Guardandoti indietro, quali sono gli errori che non rifaresti e quali sono al contrario le "strategie" vincenti che ti hanno permesso di emergere?
Più che errori da evitare, direi cose che avrei potuto fare meglio. Penso alle stories, l'esposizione mediatica può essere un boomerang. Occorre oculatezza. Come dicevo, l'importante è essere se stessi.
Parliamo del tuo stile di miscelazione.
Per me, parole chiave sono semplicità, facilità di reperibilità dei prodotti, occhio al costo del prodotto finale e attenzione a evitare ogni spreco.
Sei famosa per gli show di flair bottle...
Sì, è vero. Sia chiaro: le critiche non mancano. Anzi! Ho imparato a non rimanerci male. Per questo ho deciso di caratterizzare ogni mia guest inserendo la mia move con il ventaglio per spargere al meglio le molecole di profumo sul bicchiere.
Ad oggi qual è il bilancio della tua carriera?
Sono soddisfatta. Se ci penso, ho raggiunto obiettivi e risultati che non credevo possibili. Senza contare che ci ho messo poco tempo. Di natura introversa e timida, questo lavoro mi ha reso più sicura di me stessa. E non mi sento arrivata, anzi. Studio e miglioro giorno dopo giorno. Non si smette mai di imparare.
Hai un'ambizione ancora da realizzare?
La più ambiziosa, dare vita o sostenere la nascita di un movimento inclusivo, perché l'unione fa la forza. Noi bartender dovremmo smettere di farci la guerra a vicenda.
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A cura di Matteo Cioffi
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