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L’autore è Consigliere dell’Istituto

Internazionale Assaggiatori

Caffè e Amministratore del

Centro Studi Assaggiatori

www.assaggiatoricaffe.org

T

orno a parlare di un tema a me molto

caro: l’espresso italiano.Maquestavolta

voglio affrontarlo da un punto di vista

diverso e capire chi è davvero il torre-

fattore italiano. Ultimamente sul tema

c’è una certa bagarre animata da chi vorrebbe

in maniera manichea dividere i torrefattori in

industriali e artigianali. Una visione della re-

altà che definire semplificata e semplificatrice

è eufemistico, quasi ci vedo del dolo e non

verso i torrefattori ma verso il consumatore.

Gli si fa credere che le dimensioni aziendali

siano indissolubilmente correlate alla qualità

del prodotto: gli “industriali” fanno caffè poco

interessanti, mentre gli “artigianali” hanno in

mano le chiavi della qualità.

la mentalità dell’imprenditore

Chiunque affronti questa distinzione con un

minimo di raziocinio e di esperienza sa che

non sta in piedi. E’ un po’ il ragionamento per

il quale il “vino del contadino” sarebbe un mo-

dello di qualità in virtù della sua genuinità o di

altri pseudovalori di cui una certa demagogia

agroalimentare prova a imbottirci la testa. Non

sta in piedi dire che alle piccole dimensioni di

una torrefazione corrisponde sempre un caffè

migliore, così come non è vero che le grandi

torrefazioni non sono in grado di fare anche

grandi miscele. Ed è vero anche l’opposto.

Ho la fortunadi avere rapporti di lavoroeumani

con torrefazioni di varia grandezza: dalle mi-

cro alle macro, se vogliamo così definirle. La

discriminante della qualità in tazza, ciò che fa

la differenza tra una miscela eccellente e una

ordinaria o addirittura scadente, è semplice-

mente la filosofia aziendale. Che a sua volta

discende dalla mentalità dell’imprenditore che

vi sta dietro.

E’ chiaro che i segmenti di mercato che copre

un micro-torrefattore non sono quelli a cui si

dedicanotorrefattoripiùgrandi. Inquestosenso

davverononriescoavedere lacontrapposizione

che alcuni stanno invece fomentando per mo-

tivi che ancora oggi mi sfuggono. Mi pare più

utile ragionare sul sottile fil rouge che unisce

le torrefazioni italiani, piccole o grandi, che

desiderano fare qualità: ed è un filo più spesso

di quanto si pensi.

le semplificazioni “social”

Se ne avessi il potere vorrei ricondurre l’intera

discussione a un semplice punto: la qualità in

tazza. C’è o non c’è? Questa è la domanda che

mi pongo di fronte a un espresso, ancora prima

di chiedermi se dietro quella tazzina c’è una

multinazionale o una bottega del caffè. Ecco

noi dovremmo probabilmente pensare solo a

questo punto, buttando a mare le ideologie di

sonopieni i social network(nonfraintendetemi,

anch’io sono su Facebook, solo che ci penso

due volte prima di pubblicare qualcosa, ma

questa è un’altra storia).

Insomma il tema della piccola, media e gran-

de torrefazione probabilmente sarebbe meglio

impostato se ci spostassimo da una visione

ideologica a una prettamente sensoriale. Il pro-

blema è che per discutere di analisi sensoriale

servono solide basi scientifichementre per fare

propaganda basta uno smartphone connesso a

Internet e un pizzico di cattiveria.

M

Chi fosse interessato a contattare

l’autore può farlo scrivendo

a:

carlo.odello@assaggiatori.com

94

mixer

dicembre/gennaio 2016

Global Coffee

GLI ESPERTI

CARLO ODELLO

Un’idea

semplice:

la qualità

in tazza

non contano le dimensioni delle

torrefazioni, ma la filosofia aziendale

di carlo odello