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Mixer
/ MAGGIO 2018
IL PUNTO
del presidente FIPE Lino Enrico Stoppani
L
anecessitàdi investiresui temi dellaFormazioneconti-
nuaadessereun temadi grandeattualitàed interesse
per il settore
, nonostante la mancanza dell’interlocu-
zione con la politica, impegnata oggi a definire i nuovi
equilibri istituzionali. Emblematico è il tema dell’istituzione di
un corso di “
Laurea in Accoglienza”,
un progetto che farebbe
solo bene e di cui c’è bisogno.
Basti pensare all’indagine ISTAT sul “Capitale Umano” delle
aziende italiane
, ovverosulle
“conoscenze, abilità, competenze
ed altri attributi degli individui che facilitano la creazione di
benessere personale, sociale ed economico”.
Ci sono diversi
parametri che lomisurano, tra i quali anche la somma degli anni
di istruzione scolastica e lavorativa degli operatori impegnati
in un comparto. Al riguardo, il nostro settore ha una media tra
le più basse, pari a circa 10 anni, dato che – considerato che 8
punti sono assorbiti dagli anni della scuola obbligatoria (5 di
scuola elementare e 3 di media inferiore) – ne esprime inequi-
vocabilmente le debolezze.
Ancheprecisandochel’indagineISTATècircoscrittaalleazien-
de con più di 10 dipendenti
, e pertanto racconta solo in parte la
storia di un settore come il nostro costituito da piccole imprese,
il dato è tuttavia sintomatico e spiega molti dei mali che lo carat-
terizzano. Infatti, la“
Cultura
”, intesanel sensoampiodel termine,
è indispensabile anche per le imprese, perché le rafforza quasi
“geneticamente”, dotandole cioè degli attributi indispensabili
a contrastare e a prevenire difficoltà, combattendo pigrizia o
appiattimento gestionale, aumentando quella propensione al
cambiamento che consente di interpretare i momenti, capire le
tendenze e le aspettative del mercato, avviare gli investimenti
migliorativi, contrastare il naturale declino delle attività.
Fadiscutere, però, l’incondizionato sostegnodellaPoliticaal
progetto accademico sul Turismo gastronomico
,
perché, da
unaparte, condivide teoricamente l’investimentoprofessionale
degli operatori e, dall’altra, negli anni ha, invece, accompagnato
la deriva normativa sulla sua legislazione, rimuovendo qualsiasi
vincolo di accesso al mercato e abbassando la dotazione dei
requisiti professionali e morali necessari per l’esercizio delle
attività di Pubblico Esercizio.
Le conseguenze sono chiare: bassa produttività e marginalità,
diffusa concorrenza sleale, strisciante dequalificazione, con au-
mentato utilizzo di precotti e semilavorati industriali, alta mor-
talità delle imprese, crescita dei rischi igienico-sanitari e delle
malattie cibo-correlate, riciclaggio di denaro con le infiltrazioni
malavitose, declassamento reputazionale, etc.
L’abbassamento dei requisiti per accedere ed esercitare la
professione, insomma, rischia di pregiudicare la nostra ri-
conosciuta leadership internazionale sul cibo
e penalizzare
anche la nostra offerta turistica, con la consapevolezza, quindi,
che qualsiasi ipotesi d’investimento sulle competenze non può
prescindere dalla contestuale revisione anche delle regole di
accesso alla professione.
Anche le Imprese, però, devono fare di più, innanzitut-
to rendendo più attrattivo il settore
, che porterà prima
gli studenti degli Istituti Tecnici Professionali ad una scelta
consapevole, e non residuale, del loro percorso scolastico
e, in prospettiva, anche migliori livelli retributivi e di welfare
settoriale, rispetto agli attuali. E poi la qualità degli impren-
ditori ha bisogno di essere rafforzata. Starbuck’s favorisce
l’accesso all’Università dei suoi dipendenti, con incentivi e
agevolazioni, mentre molti dei nostri imprenditori conside-
rano ancora il tempo della Formazione un costo e non un
investimento aziendale.
Giusto, quindi, chiedere e pretendere investimenti sul capitale
umano del settore, ma contemporaneamente, bisogna dimo-
strarsi pronti a farli.
Capitale Umano:
costo o investimento?