bevande
19 Settembre 2013Il primo volume della collana Le Bussole pubblicato da Confcommercio (in collaborazione con Fipe) è stato presentato ieri a Roma ed è dedicato alla Ristorazione. Un settore che se da un lato vale 73 miliardi di euro e vede attive più di 300 mila imprese, ė anche quello che denota - per il fascino che esercita, perché ritenuto erroneamente "facile" - un elevato grado di improvvisazione, soprattutto da chi ci si avvicina per la prima volta.
Per questo, Confcommercio ha deciso di dar vita alla collana di manuali dedicati ai diversi settori del commercio e dei servizi, focalizzati su aspetti pratici e operativi, con l'obiettivo di realizzare «strumenti a supporto dell'attività d'impresa per far compiere - ha detto il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli - un salto verso una professione più manageriale».
Non sfugge infatti, e lo ricorda il presidente di Fipe Lino Enrico Stoppani nell'introduzione al volume - che “le molteplici attività di un'impresa di ristorazione sono spesso sottovalutate dagli stessi addetti ai lavori con la conseguenza di generare un forte turnover imprenditoriale per via di insuccessi causati anche da un approccio improvvisato e approssimativo del business"
Contro l'improvvisazione e l'approssimazione è dunque il percorso lungo il quale scorrono le 300 pagine del volume. Lo evidenzia Lorenzo Farina pubblicitario e ristoratore (suo il Duke’s di Roma), coautore del libro insieme con Roberta Parollo, Fabio Fulvio e Luciano Sbraga, quando afferma provocatoriamente che «fare impresa per vendere detersivi o per vendere in un ristorante è la stessa cosa». Vi è però una differenza, non di poco conto: «mentre un detersivo ha cinque punti di contatto per il consumatore, vi sono da 200 a 250 punti di contatto in un'unica esperienza di ristorazione. La possibilità che qualcosa vada male è una certezza. La gestione è quindi molto complessa, perché da ognuno di questi punti si innesca una reazione a catena».
Per questo il libro, in maniera didattica e con ampio corredo di riferimenti a casi di successo, passa in rassegna l'impresa ristorativa a partire dal business plan, dal concept, realizzati seguendo la trama di otto megatrend mondiali che orientano la domanda dei consumatori. Soprattutto due sono i focus su cui Farina pone l'attenzione: l'innovazione e la pianificazione dei costi. Sulla prima, ricorda che «per decenni ha coinciso con il lancio di nuovi prodotti, poi si ê pensato all'integrazione con le tecnologie. Ma oggi il modello dell'innovazione si può costruire in tanti territori: nella gestione delle risorse mane, per esempio, nelle promozioni, nella comunicazione. Innovare poi significa anche rinnovare,riposizionare l'attività. Sempre però con un forte orientamento al conto economico. I ristoratori italiani sono mediamente bravi a controllare i costi. Ma non basta. Occorre un cambio di mentalità, dal controllo alla pianificazione dei costi, al calcolo della loro incidenza sul fatturato in funzione della tipologia di ristorazione, al calcolo della redditività del capitale investito. Senza mai dimenticare che oggi il passaparola, con i social network, può portare in vetta un ristorante ma lo può distruggere con soli 140 caratteri di un tweet".
Ecco che cosa aggiunge Lorenzo Farina sul tema dell'innovazione.
TESTIMONIAL DI SUCCESSO
Una varietà di esperienze sono state portate a sostegno dei contenuti di questo libro in una tavola rotonda coordinata da Enzo Vizzari, direttore delle Guide de l'Espresso, che ha rammentato come non esista la qualità assoluta, ma essa sia in funzione di ciò che l'imprenditore si prefigge. Così c'è Carlo Dall'Ava, produttore di prosciutto di San Daniele che esporta nelle maggiori capitali mondiali, e che con le Prosciutterie Dok ha creato delle vetrine dirette per il prodotto, con risultati importanti.
Risultati che su scala diversa si prefigge anche Autogrill, con 1200 locali in 24 Paesi e un fatturato di 4 miliardi nella ristorazione. Spiega Alessandro Giudici, responsabile food &beverage Europe che oggi «la serialità e la standardizzazione anche nella ristorazione veloce sono meno efficaci e che la riflessione sul cambiamento porta in primo piano l'innovazione per offrire al consumatore che vuole essere protagonista e ha una percezione precisa dei servizi offerti un'esperienza completa». Come dimostrano il format di Villoresi, sulla Milano-Lahi e il Bistrot Milano Centrale.
C'è poi lo chef diventato imprenditore, Andrea Berton, che nell'ultimo anno ha aperto il ristorante Pisacco e il bar-pizzeria Dry ed è alla vigilia dell'inaugurazione di un terzo ristorante, che «rispecchierà il mio dna. Voglio ripropormi a questo mercato con un'idea di ristorante stellato accessibile». E testimonia che oggi chi fa il cuoco deve essere anche manager e che il successo rapido di Pisacco ha consentito dopo soli dieci mesi di aprire Dry, grazie a un controllo di gestione molto attento.
Percorso per certi versi simile, quello di Davide Oldani, che alla vigilia dei dieci anni del suo D'O ripercorre le tappe di unoercorso di creazione di identità precisa e identificabile, (e prenotabile minimo sei mesi dopo) che arriva oggi sui banchi di Harward (leggi l'intervista). «Ma poiché in questo lavoro conta molto la soddisfazione personale, vedere i clienti che dopo aver pagato vogliono prenotare un tavolo tra otto mesi, beh, significa che hai fatto qualcosa di significativo per quelle persone».
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