09 Ottobre 2019
La buona notizia è che la tendenza alla contaminazione delineata nel 2017 si è andata irrobustendo nel corso del 2018. L’abbinamento con il cibo si è infatti confermato un volàno per i cocktail. A dirlo sono le rilevazioni effettuate da NPD Group che mettono chiaramente in luce il fenomeno. «Durante gli anni più difficili della crisi – spiega Linda Moreschi, account e client development di Foodservice NPD in Italia –, le occasioni di uscita fuori casa sono state limitate o dirottate verso proposte capaci di assicurare costi contenuti. Ora invece si fanno nuovamente strada offerte più strutturate e complete». E questo mutato scenario incide, anche, sulle consumazioni di Margarita, Negroni & co. «L’aperitivo – spesso interpretato negli anni passati come sostitutivo del pasto serale –, ha perso in soli dodici mesi ben 7 punti percentuali, passando da un’incidenza del 55% del 2017 a un peso del 48% nel 2018 – rileva Moreschi –.
Una battuta d’arresto che non ha mancato di produrre riflessi negativi sulla ristorazione veloce, nella quale di norma viene consumato l’happy hour: bar, tavole calde e tavole fredde hanno visto svanire in un anno 4 milioni di consumazioni. Per contro, il servizio completo, rappresentato dalla ristorazione tradizionale, ha guadagnato 2 milioni di serving, mettendo a segno un balzo del 13,3%. Certo, va detto che il primo canale è molto rappresentativo per la categoria (assorbe il 38% degli ordinativi), ma la performance fatta registrare dal secondo (che pure vale solo il 16%) resta un fatto significativo in chiave prospettica».
NUMERI IN CALO
Quelli evidenziati – e qui arriva la cattiva notizia – sono però i soli dati positivi fatti rilevare dai cocktail. Se, infatti, tra il 2016 e il 2017 le consumazioni erano passate da 104 a 120 milioni, incassando un aumento del 16%, nel 2018 si è sostanzialmente vanificato il vantaggio: le ordinazioni legate a questa categoria si sono fermate a quota 106 milioni, penalizzate da una flessione dell’11,9%. I motivi? «Innanzitutto – osserva Moreschi – occorre considerare il flop del travel & leisure: il canale che rappresenta i locali notturni e di intrattenimento, e che incide per il 49% sulle ordinazioni di cocktail, ha lasciato sul terreno il 19,9% in un solo anno. Ma bisogna anche considerare la concorrenza sferrata dalla birra, che ha macinato nel 2018 tassi di crescita compresi tra il 5,3% del servizio completo, l’8,5% del servizio veloce e il 23,5% del mondo della notte».
PREVISIONI
Il cielo sopra i cocktail potrebbe comunque tornare progressivamente a rasserenarsi. «I Millennial mostrano di apprezzarli – sostiene Moreschi –. E questo rappresenta un fatto positivo per due ragioni. La prima: si tratta di un target che possiede una buona disponibilità di spesa. La seconda: la giovane età dei suoi componenti consente di immaginare stime di crescita sul medio-lungo termine». Va detto però che, Margarita, Negroni & co costituiscono per loro natura un consumo voluttuario, particolarmente sensibile quindi agli andamenti economici complessivi. E, in un quadro come quello attuale, che sappiamo essere complesso e variabile, formulare previsioni potrebbe risolversi in un esercizio di stile.
MILLENNIALS, UN TARGET SU CUI PUNTARE
In valori assoluti il calo delle consumazioni di cocktail tocca tutti i segmenti di età. All’interno di questa dinamica negativa, va però evidenziato l’aumento dell’incidenza dei più giovani: i Millennial passano dal 59% del 2017 al 62% del 2018. Se poi si scompone ancora il dato, emerge come il vantaggio sia da attribuire alla fascia dei 18-24enni che registrano una crescita di 3 punti percentuali, raggiungendo quota 27%. Stabili invece i 25-34enni, che si confermano al 28%.
LA SPINTA DELLA SOCIALIZZAZIONE
Tra le motivazioni che inducono al consumo fuori casa di cocktail, spicca al primo posto la socializzazione che in soli 12 mesi ha guadagnato ben 6 punti percentuali, passando dal 33% del 2017 al 39% del 2018. In linea, invece, con la generale tendenza a premiare le uscite di carattere più prettamente funzionale, la spinta dell’edonismo ha subìto una forte battuta d’arresto, calando dal 27 del 2016 al 16% del 2018.
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A cura di Matteo Cioffi
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