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antipodi, in Australia)

si moltiplicano i produttori

indipendenti

: solo nel 2014 hanno aperto 15 nuove

distillerie. Danno sfogo alla creatività aggiungendo

alla base di bacche di ginepro erbe o spezie come

basilico, foglie di lime, combava e pepe di Giava.

Mentre in Australia si aggiungono ingredienti locali

come mirto australiano, pepe della Tasmania, Sola-

num centrale utilizzato nelle produzioni artigianali

come Four Pillars Gin e The West Wind Gin.

Una grande ricerca dunque, che investe erbe e spe-

zie spesso coltivate in proprio o localmente, a volte

biologiche, come richiede lo spirito dei tempi.

Rispetto all’eterna concorrente, la vodka, il gin piace

proprio per l’ampia gamma di sfumature che può

assumere, tanto da cambiare distintamente sapore

da un’etichetta all’altra. Ed è quindi il terreno su

cui si stanno cimentando maggiormente i distilla-

tori artigianali al momento. Anche perché, oltre alla

maggiori possibilità di personalizzare il prodotto,

ha dalla sua i tempi veloci di produzione che non

richiedono invecchiamento.

Whisky una volta c’era la Scozia...

Liquore orgogliosamente considerato simbolo della

tradizione scozzese,

il whisky ha ormai da tempo

preso nuove strade e latitudini

. La prova? Negli

ultimi due anni la Whisky Bible di Jim Murray, una

vera e propria “bibbia” del whisky, ha eletto miglior

etichetta prima un whisky giapponese, e quest’anno

un canadese, il Crown Royal Northern Harvest Rye

distillato nella sperduta The Gimli Distillery (parte

però della galassia Diageo).

Un serbatoio quasi illimitato di piccoli produttori

speranzosi sembrano essere gli Stati Uniti, dove in

dieci anni si è passati da 50 a 769 distillerie artigianali

secondo l’American Craft Spirits Association. Alcune

certo si limitano a servire il mercato strettamente

locale, altre hanno ambizioni nazionali. E spuntano

in città come in campagna, producendo whisky e

bourbon originali.

Attenzione, non sono tutte rose e fiori. Nonostante il

crescente interesse verso questi piccoli, appassionati

produttori da parte di gestori di bar e ristoratori, i

problemi che devono affrontare sono vari: dalle accise

e costi di produzione alti alle difficoltà incontrate

per la distribuzione. Tra i vantaggi la possibilità di

comunicare direttamente con il cliente, date le piccole

dimensioni, organizzando serate e degustazioni. Ma

la strada è segnata, e nei prossimi tempi potremmo

vedere molti altri attori entrare nel mercato, ormai

globale, degli alcolici di qualità.

M

dicembre/gennaio 2016

mixer

69

I marchi

E i grandi non stannoa

guardare...

L’ American Distilling Institute prevede un aumento della quota

di mercato delle etichette artigianali dall’attuale 1% all’8% del

mercato statunitense entro il 2020.

I grandi marchi internazionali iniziano a sentirsi minacciati,

e cercano di correre ai ripari, lanciando nuove etichette ed

acquisendo piccoli produttori. Diageo e Pernod in primis.

Quest’ultimo, che ha visto calare le vendite di Absolut negli

USA, secondo il Wall Street Journal avrebbe in progetto di aprire

piccole distillerie in città “ad alto tasso hipster” come Seattle e

Detroit per proporre una vodka che seguirà una ricetta base ma

sarà arricchita da “tocchi” di ingredienti ed erbe locali.

Nuove formule

E il distillato si faanche al bar

Impossibile con il whisky che richiede una lunga maturazione,

possibilissimo con il gin, pronto in una manciata di giorni: dopo

i birrifici artigianali arrivano i bar-distillerie con alambicchi in

bella vista e la possibilità di degustare il gin appena fatto. A

Londra ad esempio ce ne vari. Come il COLD bar che si affaccia

sulle tubature in rame dell’unica vera distilleria di gin londinese,

nella zona delle City. Oppure l’East London Liquor Company

di Bow Wharf, che ha restaurato una vecchia fabbrica di colla

e produce con l’alambicco a vista gin e vodka. E a Milano ha

aperto a giugno, in piena frenesia da Expo-debutti, il primo bar-

distilleria di gin (con ristorante) italiano: The Botanical Club.