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Mixer

MAGGIO 2016

dalla

SSA

(

Sake Sommelier Association

) ed è stato per me co-

me aprire una porta su un universo parallelo al vino. Mentre

in Italia c’è ancora relativa “ignoranza” sul Sake, a Dubai ho

trovato una scena più che pronta ad accettare questo distil-

lato. Le vendite del Sake al Buddha Bar vanno alla grande e

ho inserito una

Sake List

con più di 50 referenze, una carta

studiata sia per il cliente normale sia per chi vuole sperimen-

tare e che, portafoglio permettendo, vuole provare chicche

da intenditori da più di 1.500 euro a bottiglia. Il 90% dei miei

cocktail prevede l’uso di Sake o Shochu. Per esempio il coc-

ktail “

Oh, My Gold

!” è una combinazione superchic di Sloe

Gin Homemade, un Super Premium Umeshu (liquore giappo-

nese profumato alle caratteristiche prugne giapponesi), uno

sciroppo con zest di yuzu, aceto balsamico, ume – le stesse

prugne del liquore – e Sake, qualche goccia di Assenzio e il

nostro homemade Orange Bitter. Come garnish due petali di

rosa che bagniamo nella vernice gastronomica oro e una rara

Yamamomo, ciliegia giapponese simile alle nostre classiche

Maraschino, ma decisamente più gustosa.

Parliamo ancora di sorprese e di meraviglie: al Buddha

Bar di Dubai vantate una drink-list divertente, ricca di in-

ventiva e che, soprattutto, ruota intorno all’idea del gioco.

La carta è un omaggio a tutto quello che di divertente c’è

nella nostra professione: ingredienti e abbinamenti strani,

ogni cocktail arriva nel suo specifico bicchiere che a volte

faccio disegnare su misura! Voglio che l’esperienza dei miei

clienti non sia solo una semplice bevuta, ma un’esperienza

multisensoriale.

Come per il “

What the Duck!

”, con chiaro riferimento all’e-

sclamazione inglese che elegantemente tradurrò in “Ma che

Cavolo!”: per trovare un ingrediente adatto ho rimandato di

un mese l’uscita. Geek fino al midollo! Viene servito in un

sacchetto di polipropilene che ricorda quelli dei Luna Park

dove al posto del pesce rosso facciamo galleggiare una pape-

rella. Come si racconta per il celebre Mai Tai, anche in questo

caso il nome viene dall’esclamazione del primo assaggiatore

del cocktail che, nel nostro caso, ha esordito con un convinto

“What the F...k!”.

L’altro cocktail che ormai è un must e riassume il nostro amore

per la ricerca e sperimentazione è lo “

Shit-Ake Happens

”, lo

serviamo in un vasetto per piantine che mi sono fatto spedire

da Londra, facciamo un top di polvere di cacao (tre tipologie

con differenti intensità e colore, uno spettacolo per gli occhi e

per il naso) e guarniamo con foglioline di basilico. Il cocktail

è praticamente una piantina, la faccia di chi lo ordina e poi si

trova davanti una cosa che tutto sembra tranne che un drink

è impagabile. Molti input arrivano dagli Chef Hary e Ranu,

mostri scari della cucina del Buddha Bar a cui rubo ingredienti

che porto al bancone per sperimentare.

La drink list ha un buon riscontro, credo che non tutti i clienti

vogliano rimanere adulti a lungo quando sono in un bar.

Fuori dalla porta del Buddha Bar c’è un mondo affasci-

nante, quello degli Emirati Arabi che miscelano tendenze

occidentali con usi e costumi del Medio Oriente. Quanto

si percepisce all’interno del bar questo fattore?

Capitolo difficile questo. Dubai è una parentesi nel mondo ara-

bo, moltoOccidentale sotto alcuni punti di vista, estremamente

rigorosa sotto altri. È in equilibrio perfetto tra passato e futuro

e la gente “locale” rappresenta circa il 5% della popolazione.

A parte qualche eccezione, la clientela del Golfo si adegua al

concept del Buddha Bar che ha un taglio occidentale, lo stile

di miscelazione è quindi lo stesso che utilizzerei a Milano o

Londra.

In ambito di prodotti da usare al bar, a Dubai si trova davve-