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Mixer

/ GIUGNO 2017

IL PUNTO

del presidente FIPE Lino Enrico Stoppani

P

overi cuochi!

In un recente articolo sul Corrieredella Sera, è stato ap-

profondito il logoriodella loroprofessione, considerata

uno dei dieci lavori più usuranti del mondo, mentre in

un’intervistaadArrigoCipriani dell’Harry’sBar venivanocriticati

gli attuali grandi chef, che “

stanno rovinando la grande cucina

italiana, avviandone la decadenza”.

Non sono d’accordo con la provocazione di Cipriani, anche

se effettivamente oggi la grande ristorazione è caratterizza-

ta anche da molte esagerazioni e contraddizioni, mentre sulla

pressure cooking

”, che condiziona e ingabbia la vita di molti

cuochi, è purtroppo la cronaca che ha spesso raccontato della

depressioneedel “maledi vivere”chehacolpitoalcuni colleghi.

Certamente la Ristorazione stellata ha commesso errori

,

primo tra tutti l’omogeneizzazione e la spettacolarizzazione

dell’offerta, con la conseguenza che spesso in questi ristoranti

si propongono le stesse cose, con molte materie prime di im-

portazione, aprezzi troppo cari perché la loro strutturadei costi

comporta necessariamente interventi sui listini, dimenticando

i piatti della tradizione italiana e i prodotti del territorio, con

ricette poi spesso eccessivamente elaborate, che confondono

i sapori.

Se però oggi il “

Food in Italy

” ha una immagine e una conside-

razione migliore rispetto al passato, e la Ristorazione italiana è

diventata un benchmark di riferimento per la cucina internazio-

nale, il merito spetta anche ai nostri grandi cuochi, che hanno

saputo valorizzarla e promuoverla, diventando i veri “testimo-

nials” delle tante eccellenze italiane in campo alimentare.

Inoltre, hanno favorito un movimento di crescita qualitativa di

tutto il comparto, all’interno di un pluralismo di offerta unico al

mondo, anchenelladiversità, doveperò laqualitàdel prodottoe

del serviziosonodiventati fattori semprepiùricercati eapplicati,

nonostante la deriva normativa che sta banalizzando l’offerta,

favorendo dequalificazione e approssimazione commerciale.

Un merito aggiuntivo da assegnare ai grandi cuochi

è il recu-

peroe il lororitornoal territorio, dopo la fasedi sperimentazione

e di contaminazione dei menu, rafforzando gli aspetti di tipicità

eattrattivitàcollegati all’enogastronomia, con lasalvaguardia, la

promozione e la valorizzazione degli straordinari prodotti della

nostra agricoltura, abbandonati dalla distribuzione organizzata

perché incapaci di garantire quantità, continuità e prezzi com-

patibili con le esigenze della GDO.

Molto più complesso, invece, il tema del logorio psico-fisico

del lavoro di cuoco, dove le comprensibili ambizioni di visibilità

e successo, con la ricerca della perfezione o della esclusività,

hanno alimentato anche eccessi, che si sono trasformati in pa-

tologie e frustrazioni di interesse medico-scientifico.

Gli episodi e le testimonianze al riguardo sono numerose, ma

a mio avviso esistono in tutte le professioni; infatti, non c’è

un’attività che dia soldi e successo, senza richiedere sacrifici o

contropartite che incidano sulla qualità della vita delle persone

interessate.

Lo stesso mondo del calcio è pieno di casi di giovani calciatori

con problemi esistenziali, che sembrerebbero lontani, viste le

gratificazioni economiche, perché i rilevanti ingaggi impon-

gono scelte di vita che richiedono una dedizione totale alla

professione, con scarso spazio agli affetti, agli interessi e anche

alle distrazioni, con tensioni e problemi che hanno imposto

l’inserimento dello psicologo negli staff tecnici delle squadre.

Con altre sfumature e distanze, anche altri lavori ordinari e

ripetitivi soffrono degli stessi disagi, a dimostrazione che non

esiste il lavoro perfetto.

Nel nostro lavoro esistono certamente insidie aggiuntive

,

comegli investimenti spessonaufragati con i progetti d’impresa,

i risultati economici spesso non rapportati ai sacrifici profusi, le

recensioni negative, i declassamenti delleguidegastronomiche,

gli orari di lavoro disallineati rispetto alla quotidianità dei più,

l’isolamento e altri fattori che favoriscono disagio e inconscia

insoddisfazione. Non possiamo permetterci psicologi nelle no-

stre brigate di cucina, ma qualche riflessione in più sulle priorità

dellavitaandrebbecucinata,magari spendendosi nell’impegno

solidale, come qualcuno ha già lodevolmente fatto, oppure

provando a guardarsi indietro ed intorno a noi, incominciando

a dare più valore a tutto, anche ai sacrifici.

Chef, tra mito,

rovina e disperazione