salmente sono stata aiutata proprio da capocuochi uomini”.
La medicina per eccellere? “Crearsi un proprio modello – è
la ricetta di Cristina Bowerman – senza scendere in campo
combattendo con armi non proprie”. E, quando ce la si fa,
qualche problema può insorgere: “ho vissuto qualche situa-
zione – racconta
Daniela Cicioni
– di disparità retributiva a
svantaggio delle donne rispetto a colleghi maschi, seppure
a parità di competenze e ruoli”.
QUANDO L’UOMO FA AUDIENCE
Le difficoltà, però, non sono solo quelle, per una chef donna:
esiste anche la vita privata… Le ore in un giorno sono 24, e la
professione se ne porta via una buona metà: “il nostro lavoro
richiede sacrifici – prosegue Stefania Corrado – ma sa dare
soddisfazioni. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra profes-
sione e vita propria ritagliandosi
momenti di qualità”. Più dura Cri-
stina Bowerman: “pensare di non
farcela a gestire il proprio privato
e non, è solo una scusa per chi
non riesce, o non vuole riuscire,
nell’intento”. Un percorso meno
ostico, quello di
Antonella Ricci
:
“ho faticato quando le mie figlie
erano piccole, ma ora che sono
cresciute non rinuncio alla mia fa-
miglia”. Certo, per la chef è stato
tutto più semplice: in fin dei conti
harilevato il ristorantedi famigliae
ha sposato un collega mauriziano
che lavora con lei…Le capocuoco
famosepotrebberopoi, al pari dei
loroblasonati colleghi, finiresotto
le luci dei riflettori dei media; ma,
a parte alcuni casi di donne prota-
goniste di trasmissioni di diverso
livello(edifferenteformat)rispetto
a quelli che fanno audience, sem-
bra che il gentil sesso non buchi il
video. Curioso e sospetto (squa-
dra che vince non si cambia?), se
si pensa che i primi programmi di
cucina videro come protagoniste
Ave Ninchi (“A tavola alle 7”, na-
to nel 1974) e Wilma De Angelis
(“Sale, pepe e fantasia”, 1978)…
Qualcosa cambierà? Diffi-
cile pensarlo a breve per-
ché gli ascolti premiano i
programmi con protago-
nisti maschili e perché “gli uomini – è l’opinione di
Chiara
Patracchini
– possono portare avanti più progetti in contem-
poranea. I grandi chef hanno uno staff granitico alle spalle”.
È un mondo tutt’ora declinato al maschile: non a caso la
traduzione di chef è il virile “capo”, e l’organigramma della
brigata di cucina trae spunto dalla ferrea gerarchia
militare. Che ci sia bisogno, anche qui, di quote rosa?
RISTORAZIONE
Professione chef
54
Mixer
/ NOVEMBRE 2017
Combattere
i pregiudizi
Vissuti, opinioni, scelte posso-
no però cambiare a seconda
dell’età e della specializzazione.
Di certo, rispetto alle chef grif-
fate, le rinunce sono in comune:
“arrivare in alto – è l’opinione
della barlady
Chiara Beretta
– richiede sacrifici, tempo e
dedizione. Nel mondo dei bar
si lavora di notte, 10 ore al
giorno per 6 giorni a settima-
na. Poche donne accettano i
sacrifici di questa vita. Nessuna
delle professioniste ad alti
livelli che conosco è moglie o
madre. Noi abbiamo sposato
un bar”. Lapidaria e più realista
del re…
E non mancano esperienze
negative, di pura misoginia: “ho
subito episodi di maschilismo
– racconta la chef pasticcera
Chiara Patracchini
– e come in
tutti i mondi predominati dalla
presenza maschile ho dovuto
sgomitare… E, quando sono
andata all’estero per fare la mia
prima promozione, pensavano
fossi l’amante dello chef! Non
potevano accettare il fatto che
fossi una professionista, solo
perché ero donna”.
“Arrivare in alto
richiede sacrifici, tempo
e dedizione”
Chiara Beretta
“Non potevano
accettare il fatto che fossi
una professionista”
Chiara Patracchini
“Ho vissuto qualche
situazione di disparità
retributiva”
Daniela Cicioni
“Paradossalmente sono
stata aiutata proprio
da capocuochi uomini”
Stefania Corrado