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Mixer

/ APRILE 2018

PUBBLICO ESERCIZIO

L

ungoocorto, tazzagrandeopiccola,macchiatocaldo

o freddo, corretto grappa o sambuca, marocchino o

shakerato: l’ossessionedegli italiani per il caffèespres-

so è ben nota e frutto di più di uno sfottò all’estero.

Ne sa qualcosa il personale di sala di un ristorate quando

deve raccogliere gli ordini di una tavolata e gestire spesso

tante variazioni quanti sono i commensali. Non si tratta solo

di gusti personali però.Nel Paesedei particolarismi regionali,

municipali epure rionali anche la tazzinanazionalenonpoteva

essere uguale ovunque: e infatti basta cambiare città per

trovare variazioni di colore e aroma, gusto e quantità in tazza.

Sono differenze che risalgono alla notte dei tempi, a storie

e dominazioni diverse. Viene però da chiedersi se questi

“particolarismi” non siano destinati a soccombere alla prova

dellaglobalizzazioneeall’arrivodel “perturbatore”Starbucks,

alla new wave degli specialty e alle mode globalizzate e in-

stagrammizzate. Abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti del

mondo del caffè il loro parere. Ecco cosa ci hanno detto.

LUIGI ODELLO: UNO STUDIO SCIENTIFICO

FOTOGRAFA LE DIFFERENZE

“La regionalitàdell’espresso italianohaprofonderadici antro-

pologichechesi leganoallastoriadegli stati italiani, allacucina,

ai vini e alle alleanze politiche e possibilità di approvvigiona-

mento della materia prima – spiega

Luigi Odello

, presidente

dell’

Istituto Internazionale

Assaggiatori Caffè

che da

anni studia il fenomeno –.

Dire che i torinesi prediligo-

no il caffè più acido perché

i bar nascevano da conta-

dini urbanizzati avvezzi alla

barbera può sembrare ba-

nale, ma molti degli anziani

torrefattori lo affermano.

Però non spiegano perché

spingendosi adAlessandria

il caffè sia meno acido, più

tostato”.

Il caffè sta vivendo grandi cambiamenti, ha ancora senso

parlare di differenze regionali? “Perdere la regionalità si-

gnificherebbe perdere una ricchezza immensa. È la nostra

risposta alla globalizzazione: se il piacere ha più volti noi

possiamo soddisfarli tutti grazie all’arte della tostatura e

della miscela propria del made in Italy”.

Chi tiene viva la tradizione? “I torrefattori che non si scolle-

gano dai modelli di qualità consolidati nel tempo, che non

seguono pedissequamente le mode e non si arrendono alla

logica del prezzo basso. E i costruttori di attrezzature che

innovano per migliorare l’espresso in tazza senza cedere alle

lusinghe dell’automazione ma puntando sul barista, fonda-

mentale per offrire un espresso perfetto”.

Caffè

Le direttrici

sensoriali

dell’Espresso

italiano

Fonte:

l’Italia dei caffe

Supplemento a

L’Assaggio

Aprile 2013