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APRILE 2018 /

Mixer

65

Quanto ti è servito aver sperimen-

tato in prima persona il mestiere di

cuoco nella tua professione attuale?

Davvero tanto, perché l’esperienza

pregressa mi consente di immedesi-

marmi nei cuochi con cui collaboro:

poter stabilire un rapporto empatico

e profondo con un cliente è sempre un

grande valore aggiunto nel mestiere

di fotografo.

Cos’è per te il foodporn?

Per il miomodo di vedere, la definizio-

ne fa riferimento ad un modo di foto-

grafare i piatti che non intende essere

una condivisione che li valorizzi o li

faccia apprezza-

re, ma piuttosto

un’azione com-

pulsiva, quasi ef-

fimera. Si scatta

una foto perché ora il cibo va di moda

e si ha un telefonino con fotocamera

in mano. Attenzione, non delegittimo

l’uso del cellulare, ma può essere fatto

in maniera migliore.

Quanto è importante dare la giu-

sta rilevanza estetica alle proprie

creazioni culinarie e utilizzare con

efficacia i social?

Usare i social inmaniera oculata e con-

sapevole, per far vedere e parlare di

sé, specialmente se si è un ristoratore,

è un’ottima cosa. Spesso purtroppo si

tende a fare da soli, dalle foto ai testi

fino all’intera gestione e si possono

fare tanti pasticci ottenendo risultati

molto poco promettenti.

Secondo te perché oggi la rilevanza

delle immagini è assurta a un ruolo

così importante?

proprio dalle privazioni che

nasce questo trionfo dell’a-

limentazione.

“Si tratta di un paradosso –

spiega

Luisa Stagi docen-

te di Sociologia generale

all’Università di Genova

che affonda le sue radici nel

passato: già alcuni decenni

orsono, accanto ai libri di ricette, andavano alla grande quelli

di dieta. Ciascuno nel suo privato era quindi chiamato a ge-

stire la contraddizione. Oggi dai libri ci si è spostati alla tv e

al web. Ed è in questi nuovi contesti che fiorisce il foodporn,

propensioneesasperataa fotografarecibi perpoi condividerli

con la comunità di riferimento.”

Qual è il ruolo attribuito oggi alle immagini?

Innanzitutto, direi, la foto postata e rilanciata sul web deve

interpretarsi come una sorta di cartolina dei luoghi del gusto:

prima le immagini parlavano di luoghi geografici, ambienti e

paesaggi, oggi c’è stata una sorta di slittamento.

Le immagini raccontano la nostra capacità di scegliere e la

nostra selezionesi invera, si amplificaesi riverberanegli scatti

ripetuti e (qualche volta) persino tronfi, in una perenne gara

a chi fotografa di più, a chi immortala il cibo più ghiotto e

originale. E poi non si può ignorare anche il fatto che il cibo

oggi ha acquistato sempre più una valenza “politica”, con-

trapponendo credo diversi: onnivori/carnivori da una parte

contro vegetariani/vegani dall’altra.

La foto del piatto preferito, in altri termini, parla del nostro

modo di essere, dei nostri valori, dei nostri convincimenti.

Essere personali:

avere la con-

sapevolezza di comunicare le proprie

peculiarità e la propria identità in modo

personale e possibilmente originale.

1.

Posizione:

nel formato quadrato

di Instagram è ottimale che il “sog-

getto” delle foto, che sia food o un

ritratto al personale, sia centrato.

2.

Punto di vista:

fotografare il

food quasi sempre con un angola-

zione di 45 gradi. Se il cibo ha poco

volume come una zuppa meglio fare

la foto dall’alto a 90 gradi, mente se

ha un grosso volume, per esempio

un hamburger, allora meglio scattare

in maniera frontale.

4.

Composizione:

riempite tutta

l’immagine perché sarà meglio visua-

lizzata sul piccolo schermo del cellula-

re, dove la maggior parte degli utenti

guarda Instagram.

3.

FOTO CHE FANNO

LA DIFFERENZA:

il decalogo di Andrea Fongo

Linee dritte e regolari:

evitare

di fotografare il cibo/piatto inclinato

e nelle foto degli interni del locale

mantenete le linee verticali e oriz-

zontali dritte.

5.