In questo giudizio non c’entra
solo la crisi e il calo genera-
lizzato del potere d’acquisto. I
pub, infatti, hanno continuato
ad andare male anche quan-
do gli indicatori economici del
Regno Unito erano in ripresa.
Segno che nel frattempo è ac-
caduto anche qualcos’altro: è
come se l’allontanamento, per
motivi prettamente economi-
ci, di determinate fasce sociali
abbia determinato un cambia-
mentopiùomenoconsapevole
neltargetdeipub.Cambiamen-
tocheasuavoltahacontribuito
adallontanaredefinitivamente
la clientela storica. Si è iniziato
con la Working Class che non
può più permettersi il pub e
si è andati a finire con il pub
che non è più un posto adatto
per la Working Class.
A pensarci, sta accadendo la
stessa cosa anche nel calcio,
chedasportpopolaresi sta tra-
sformando in intrattenimen-
to per benestanti, almeno per
quanto riguarda la fruizione
dal vivo, allo stadio. Anche in
questo caso la Gran Bretagna
fa da apripista. Nella culla del
football, politica dei prezzi e
offerta televisiva hanno com-
pletamentestravoltolacompo-
sizione del pubblico da stadio:
fino a qualche anno fa in gran
parterappresentatodalleclassi
popolari e dagli abitanti della
città o addirittura del singolo
quartiere, ora invececomposti
in buona parte dagli unici che
possono permettersi i prezzi
deibiglietti.Unacomposizione
omogenea dal punto di vista
del cetoma composita quanto
a provenienza geografica. Per
tutti gli altri c’è la tv. È quanto
staaccadendo,proprioadesso,
anche in Italia.
DUE STRADE
Il declino dei pub dipende
anche da cambiamenti nelle
abitudini dei britannici: il con-
sumo della tradizionale birra
cala, mentre cresce quello di
vino. In Italia da decenni ac-
cade il contrario: uno dei tanti
effetti della globalizzazione.
Ma la questione è anche pret-
tamente economica: costi alti
che si ripercuotono sui prezzi
e che spesso determinano la
chiusura a favore di altri eser-
cizi commerciali, soprattutto
supermercati.
Con la beffa che nei super-
mercati ovviamente l’alcol co-
sta meno, il che si traduce in
ulteriore concorrenza ai pub
che ancora sopravvivono.
In casi come questo, la scel-
ta è fra due strade: cercare di
abbassare i prezzi per fronteg-
giare la crisi e resistere alla
concorrenza degli altri canali,
rimanendo così fedeli all’idea
originaria del pub come luo-
go magari di poche pretese
ma accessibile a tutti, oppure
adeguarsi in un certo senso
alle trasformazioni e mutare il
pub in un luogo più ricercato,
che va incontro alle evoluzioni
del gusto e strizza l’occhio a
un target più nuovo. In questo
secondo caso la gara si fa, più
che sui prezzi, sulla qualità e
sull’originalità dell’offerta, o
sulla gradevolezza dell’am-
biente.
Il sito lettera43.it cita la Good
pub guide del 2014, secondo
cui“Cisonolocalimediocriche
sono rimasti fermi al 1980 eof-
frono cibo, bevande e servizio
senza alcun valore aggiunto”.
Per contro, nel 2014 gli addetti
ai lavori prevedono l’apertura
di circa mille nuovi pub di “ul-
tima generazione”.
Davanti a questo bivio non si
trovano solo i pub inglesi. È il
dilemma di molte tipologie di
locali, inunmondochecambia
rapidamente.Certononc’èuna
risposta valida per tutti, ma la
domanda è cruciale.
È importante infine conside-
rare che ogni cambiamento
porta con sé altri cambia-
menti a valle: se infatti una
categoria di locale (i pub,
o qualsiasi altra tipologia)
cambia il suo target di ri-
ferimento, è possibile che
si aprano spazi per nuove
formule in grado di racco-
gliere il target originario. Del
resto è proprio sulla base di
queste evoluzioni che negli
ultimi anni sono nate nuove
formule, come ad esempio i
fast food “gourmet”, lo street
food, i bar automatici.
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Il declino
dipende anche
da cambiamenti
delle abitudini: il
consumo di birra
cala, mentre cresce
quello di vino
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