ANNI ’90, UNA SVOLTA
Poi «la deflagrazione – prosegue Piccoli – che porta il nome
di Tangentopoli».
Finisce la pacchia. Anche a causa dei contraccolpi eco-
nomici di cui in varia misura risente tutto il sistema. «Il
ristorante
status symbol
diventa un lusso e spesso, in
quanto icona del decennio trascorso, anche veicolo di
un’aura “disdicevole”.
Sono in molti quelli che chiudono i battenti: altri preferi-
scono riconvertirsi in format più adeguati ai tempi».
In effetti è proprio a metà degli anni ’90 che le occasioni
di consumo cambiano con maggior decisione.
Perché, per esempio, si diffonde la moda (che molto spes-
so è una necessità) di mangiar fuori, anche per pranzo.
O anche perché la globalizzazione fa rapidamente il suo
corso frammischiando usi, costumi, sapori e abitudini «e
vengono alla ribalta i locali etnici o fusion».
IL DIVARIO
La platea dei consumatori si amplia, ma – contestualmen-
te – la forbice tra ristoranti “alti” e ristorazione più
cheap
(catene commerciali comprese) comincia ad ampliarsi vi-
stosamente. «Unpo’ comesuccedenel
fashion
–commenta
Piccoli –: da una parte la moda per tutti, dall’altra
l’haute
couture
decisamente elitaria.
Fenomeno inevitabile visto che la capacità di spesa è scesa
drasticamente».
Con il nuovo millennio questo gap si amplia ancora di più,
complice l’ultima crisi che infierisce sulla classe media e
scava il vuoto tra il lusso e il basic (di cui si fanno degni
interpreti le formule del
fast food
e dell’
all you can eat
).
E le spinte centrifughe, prima solo sottotraccia, assumono
ora contorni sempre più netti.
A partire, per esempio, dalla velocità nella fruizione dei
pasti, chediventaunvaloreaggiunto funzionaleal business
e apprezzato dagli utenti: non a caso
brunch
,
apericena
e
happy hour
spopolano.
Ma anche l’attenzione alla salubrità del cibo, al bio, al ve-
getariano condizionano fortemente scelte e proposte. E
piacciono ai giovani.
Perché è soprattutto a essi che ci si rivolge – come ricorda
Piccoli – e per attirarli bisogna fare i conti con i loro gusti,
il loro portafogli e le loro modalità di fruizione (sempre
più social e iperconnesse).
«Fare una panoramica degli ultimi 30 anni, di così ampio spettro, sul fenomeno
della ristorazione in franchising – è la riflessione di
Italo Bussoli Presidente
Assofranchising
–
è cosa ardua, specie se pensiamo che questa formula
imprenditoriale ha visto il suo arrivo in Italia da poco più di 40 anni e quindi
rispetto ad altre consolidate realtà e soprattutto statistiche dimercatoha avuto
un iniziale periodo di approccio, che via via si è perfezionato.
Ciò nonostante è possibile tracciare una curva di netta crescita a partire dalle
primissime rilevazioni che Assofranchising ha fatto nel 1993 e tuttora conti-
nua a fare in collaborazione con l’Osservatorio Permanente sul Franchising
dell’Università La Sapienza di Roma, che sono ad oggi l’unica riconosciuta
fonte a livello italiano e internazionale dei dati di settore.
E
i numeri raccontano una storia che è partita da una manciata di
insegne franchisor
, che in alcuni casi suscitano anche nostalgia,
come il
famoso Burghy, e che nel 1993 contavano poco più di un centinaio
di punti vendita affiliati attivi su tutto il territorio italiano
.
Solo pochi anni dopo però lo scenario è completamente cambiato.
Nel 1996
i punti vendita sono più che triplicati e le insegne iniziano a pren-
dere piede in modo consistente
. McDonald’s acquista Burghy e lancia la
sua espansione italiana, ma anche insegne nostrane come Segafredo Zanetti
e Spizzico aumentano il numero di punti vendita in franchising.
Il decennio successivo è quello della conferma e di unmodo di fare ristorazio-
ne che è premiato non solo dai numeri, ma anche dalle abitudini alimentari,
che si modificano (senza mai stravolgersi del tutto) in linea con i mutamen-
Franchising, in viaggio nel tempo:
una crescita continua
IL RACCONTO DI ITALO BUSSOLI,
PRESIDENTE ASSOFRANCHISING
MAGGIO 2016
Mixer
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