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ono arrivato a Milano, a ridosso del Parco Lambro, nel ‘79. Erano gli
anni in cui è esploso il fenomeno della droga e, attorno ad esso, i mo-
vimenti giovanili studenteschi e il terrorismo. Mi sono ritrovato in un
momento molto particolare che mi ha permesso di manifestare quello
che veramente sono. A Milano mi sono sentito libero e, affrontando il
Parco Lambro con tutto quello che stava succedendo intorno, ho tirato fuori il
meglio o il peggio di me, cioè quella pazzia che mi ero tenuto dentro e che gli
altri chiamavano caratterialità. Io sono un prete borderline: sempre a metà.
Quando ho affrontato il problema del Parco Lambro non ho voluto farlo attra-
verso le comunità, classiche esperienze allora molto forti, perché io non ho mai
sopportato le regole. Avendo nella mia giovinezza lavorato in campo scoutistico
e con gli oratori ho cercato di pensare a qualcosa che, partendo da queste espe-
rienze, andasse oltre. Sono così nate le comunità itineranti: ho preso quattro
camper, abbiamomesso dentro i disperati più disperati, a tre o quattro obiettori
di coscienza ho proposto di fare qualcosa di strano, tentare di salvare la gente
adoperando l’avventura. Siamo partiti il 25 marzo 1984 e siamo tornati il 25
dicembre 1984, nove mesi in cui abbiamo attraversato l’Italia, ospiti di suore di
clausura che hanno accettato i nostri ragazzi, di don Tonino Bello, abbiamo fatto
un po’ di tutto come il teatro in piazza. I quattordici che hanno cominciato sono
stati quelli con i quali abbiamo terminato, li abbiamo salvati tutti.
Credo sia stata l’unica volta nella quale abbiamo fatto un’esperienza in cui sia-
mo partiti con lo stesso numero col quale siamo tornati. Questa avventura della
carovana è stata talmente forte che da allora, pur essendo passati alla residen-
zialità, ogni anno tutte le nostre comunità fanno un periodo di carovana. Abbia-
mo girato l’Europa, abbiamo fatto anche una carovana sudamericana ma quella
che mi affascina di più è Compostela, che impegna i nostri ragazzi dagli 800 ai
1200 chilometri a piedi o in bicicletta. È quella che funziona meglio ed è anche
la più bella. All’interno delle mie comunità usiamo gli strumenti che usava don
Bosco cioè sport e teatro; cose che fanno parte della pedagogia semplice perché
è più facile salvare i ragazzi con le cose semplici che con le cose complicate.
Se penso ai prossimi trent’anni li vedo all’insegna della semplicità perché le cose
più sono semplici più risolvono i problemi grossi. Se penso invece ai trent’anni
trascorsi sono molto orgoglioso di aver messo in piedi un’attività che è partita
dalla strada e coinvolto sin da subito i giovani.
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N
L
RIFLESSIONI
Sul filo del
rasoio
Parte tutto dalla cultura. Il mondo diurno deve traghettare i buoni propositi
e una coscienza civile in quello notturno. Altrimenti non ci sarà scampo
di Don Antonio Mazzi
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