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Mixer
/ LUGLIO/AGOSTO 2017
PUBBLICO ESERCIZIO
Ufficio Studi FIPE
BUONI PASTO
Al bar servirebbe
il doppio listino
L’
ultima garaConsipper i buoni pasto dei dipendenti
della pubblica amministrazione è stata aggiudicata
con sconti rispetto al valore nominale che vannodal
16,59% al 20,75% e con commissioni agli esercenti
che variano dall’1,80% al 5,32%. Si tratta di commissioni vir-
tuali, funzionali solo a portare a casa il “malloppo” da parte
di questo o quell’emettitore perché anche un bambino capi-
rebbe che un conto economico con uno sbilancio di quindici
punti percentuali tra uscite (sconto a favore della stazione
appaltante) ed entrate (commissione chiesta all’esercente)
non sta in piedi.
Ma allora come si risolve questa equazione impossibile?
Attingendo dal credito che gli emettitori vantano sull’iva e
dalle riserve assicurate dai buoni pasto scaduti, aumentan-
do il contenzioso sui rimborsi, dilazionando ulteriormente il
pagamento delle fatture, alzando il tetto della commissione
sui buoni pasto di altre gare e, soprattutto, “inventando”
servizi aggiuntivi per fare cassa. Ecco allora che insieme al
convenzionamentoper l’accettazionedelpropriobuonopasto
l’emettitoreoffre il serviziodi fatturazioneelettronicaedaltro
ancora per generare le entrate necessarie a compensare lo
sconto (esagerato) fatto al committente.
Si dirà
“Ma i servizi aggiuntivi sono facoltativi e quindi
l’esercente è libero di scegliere se accettarli o meno”
.
Parole corrette solo sul piano formale perché la realtà che
conosciamonoi ècompletamentedifferente. I servizi aggiun-
tivi fanno parte di un unico pacchetto
chiavi in mano
la cui
accettazione è la precondizione per ottenere il convenzio-
namento. Senza la loro sottoscrizione sfuma per l’esercente
anche l’opportunità di poter contare sulle entrate generate
da quella decina o centinaia di dipendenti che ogni giorno
all’ora di pranzo gravitano intorno al suo locale.
L’analisi della catena del valore del buono pasto offre spun-
ti su cui riflettere. Abbiamo immaginato di consumare un
panino e di confrontare il risultato economico nel caso di
pagamento con buono pasto e di pagamento in contanti
(v. grafico). Nel primo caso la perdita è di
0,16 euro
, nel
secondo il guadagnoèdi
0,14euro
. Indefinitiva tra l’incasso
da buono pasto e quello in contanti c’è uno scostamento
del
12%
(0,30 euro su un valore di 2,50 ). Per mantenere
invariato il guadagno il prezzo del panino acquistato con
il buono pasto deve essere di
2,80 euro
e non di
2,50
euro
. Ed abbiamo volutamente trascurato il costo dovuto
al supplemento di lavoro che la gestione dei buoni pasto
richiede ad ogni impresa.
Proviamoarisponderesubitoadunadomandache immaginia-
moogni lettorevoglia fare.
“Secon i buoni pasto l’esercente
ci perde perché li accetta?”
Domanda legittima su cui si
reggono i tanti luoghi comuni che alimentano il dibattito sui
buoni pasto. In effetti ad una lettura superficiale il fenomeno
risulta incomprensibile.
Ma le ragioni di questacontraddizionepossonoesseremolte.
La prima, speriamo di non offendere nessuno, è che al bar
non è frequente la disponibilità di una contabilità analitica di
costi e ricavi e capita quindi di non avere immediata contezza
del costo del buono pasto. La seconda ha a che fare con il
sistema competitivo contraddistinto da decine di imprese
che si contendono la stessa domanda. Il timore di perdere
clienti, ancor prima del fatturato, è forte e spesso è alla base
di decisioni all’apparenza irrazionali.
“Se non li prendo io,
li prende qualcun altro”
: questa è la risposta che sempre
più spesso danno gli esercenti quando si chiede perché ac-
cettano i buoni pasto.
In molti casi l’obiettivo principale è quello di ammortizzare i
costi piuttosto che fare guadagni. Non proprio in linea con
i canoni della corretta gestione economica ma è la realtà.
Ma allora come si risolve il problema? La prima soluzione,
di difficile realizzabilità, è che gli esercenti che operano sul
medesimo mercato adottino un comportamento uniforme,
ovvero rifiutino di convenzionarsi se le commissioni pagate
sul buono pasto sono insostenibili come sempre più spesso
avviene. Partendo dal presupposto che il pranzo è un biso-
di Luciano Sbraga