OTT. NOV. 2014
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S
arà per la sua lunga storia,
le prime tracce di conserva-
zione sotto sale di cosce po-
steriori di suino risalgono
all’epoca etrusca, intorno al IV se-
colo a.C., per la facilità di trasporto
e di consumo (i romani chiamavano
“panisperna” l’antesignano dell’o-
dierno sandwich, da panis=pane
e perna=carne di maiale salata) il
prosciutto crudo ha rappresentato
per molti secoli una prelibatezza
e una fonte proteica che si poteva
conservare nel tempo.
Da cibo per signori, pietanza che
rallegrava le tavole della festa nel-
le occasioni speciali, il prosciutto
crudo si è andato via via democra-
tizzando. La sua produzione stan-
dardizzata ha portato questo pro-
dotto alla portata di tutti, si è quasi
banalizzato, il crudo “industriale”
ha ridotto a simulacro “cheap” uno
dei capisaldi della nostra cucina,
ancora apprezzato e amato all’este-
ro, quasi un simbolo della capacità
italiana di creare grandi prodotti
alimentari attraverso semplici ri-
cette. In fin dei conti la lista degli
ingredienti per il prosciutto crudo
è rimasta la stessa dall’epoca roma-
na: carne suina, sale e poco altro.
Sta nella sensibilità del produtto-
re, nella sua politica di selezione
della materia prima, nel rispetto
della tradizione nella lavorazione,
l’enorme differenza qualitativa che
si può trovare tra un crudo di primo
prezzo e uno di alta gamma.
NON È CRUDO È…
Sono nove
le produzioni di prosciutto crudo
sparse sul territorio nazionale che
si fregiano della tutela comunitaria,
dalle due grandi Dop che connota-
no la produzione dei salumi italiani
e sono portabandiera della nostra
cultura culinaria, ossia il Prosciutto
Le diversità
del crudo
Si fa presto a dire prosciutto crudo. Pochi altri
prodotti della cultura gastronomica italiana
mostrano una così vasta serie di influenze,
di specificità locali, di caratteristiche così
nettamente diverse tra loro.
DI PIETRO CINTI
IN DISPENSA
apprezzato
all’estero, è un
simulacro della
nostra cucina
e un simbolo
d’eccellenza
foto di Consorzio del Prosciutto di Parma