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L’autore è Consigliere
dell’Istituto Internazionale
Assaggiatori Caffè e
Amministratore del Centro
Studi Assaggiatori
“ I
clienti dopoaverepreso il caffèsi
congratulanoconme: finalmente
un caffè come si deve, così mi
dicono. Parlando con loro ho ca-
pitoche si riferisconoall’odoredi
tostatochetalvoltanontrovanoincittà,cisono
in giro tostature troppo chiare e acide”, così
mi racconta la titolare di Zoska, un grazioso
locale dai modi garbati a Budapest. Un paio
di settimane dopo a Seoul è il proprietario
di Coffee Bang-A, una fornitissima micro-
torrefazione, a raccontarmi che “la ricerca
della grande acidità in città è finita, ora si
cercanoprodottimoltopiùbilanciati” (e infatti
l’espresso che mi ha preparato è davvero
ben equilibrato). Un paio di giorni dopo mi
trovo in compagnia della signora Gu, che
ben quattordici anni fa aprì il primo bar di
Changwon, nel sud della Corea. Mi guarda
e mi dice: “Dell’espresso italiano apprezzo
l’equilibrio e la complessità”. E intanto mi
serve un bilanciatissimo drip coffee di nota
monorigine centramericana.
Cosa sta succedendo all’acidità nel caffè?
Probabilmente stiamo vivendo un momento
di svolta. La poverina è stata talmente esa-
sperata da alcuni professionisti dell’industria
dello specialty coffee da diventare antipatica.
Quella che giustamente è una nota nobile del
caffè, un tratto distintivo della qualità, un
apprezzabile fattore di piacevolezza quan-
do inserita in un certo contesto sensoriale,
ha prodotto figli degeneri (e questi si sono
diffusi nel mondo). Però i fautori dell’acidità
estrema, di tazze che ricordano spremute,
non si sono resi conto di un punto quando
sono arrivati in Asia: la cultura dell’area è
fondata sul concetto di equilibrio. All’inizio
in questi paesi che ancora non conoscevano
il caffè, questa estrema acidità è stata vissuta
come intrinseca, poi si è capito che si poteva
moderareearmonizzareperdarefreschezzaa
tazze più equilibrate e complesse. D’altronde
parlando con un bel torrefattore della West
Coast americana, ma di chiare e fiere origini
italiane, entrambi avevamo convenuto su un
punto: in bocca il caffè deve essere carezza,
non cazzotto.
èinteressanteperòcercaredi capirecomemai
l’acidità sia assurta a ruolo di fattore chiave.
Alcuni professionisti australiani ritengono
che questa sia stata fondamentalmente scelta
come punto di rottura dall’industria del caffè
di alto livellonell’Americadegli anni Settanta.
All’epoca, questa la teoria, codesta nicchia di
torrefattori cercava unmodo per distinguersi
dallamassadel caffè incircolazione, di livello
a detta loro assai dubbio. Quindi spingere
l’acceleratore sull’acidità era essenzialmente
un modo per marcare la differenza tra la fre-
schezza (e i correlati aromatici come florealità
e fruttatezza) dei loro caffè e le caratteristi-
che ben meno positive dei concorrenti. Poi
qualcuno si è fatto prendere la mano ed è
nata la corsa verso l’acidità fine a se stessa,
un gioco commerciale che ha generato caffè
di raro squilibrio. Ma la millenaria ricerca
asiatica dell’equilibrio sta ora disegnando
panorami nuovi che apriranno, a detta de-
gli operatori del mercato, molte porte anche
alle miscele italiane di qualità.
M
Chi fosse interessato a contattare l’autore può farlo
scrivendo a:
94
mixer
ottobre 2014
Global Coffee
gestione e impresa
Lamoderazione
dell’acidità
CARLO ODELLO
La millenaria ricerca asiatica di equilibrio sta
disegnando scenari nuovi e sta frenando la
corsa a caffè diventati spesso squilibrati
di carlo odello
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